Vignieri, V., Pantellaro, C., & Pillitteri, F. 2018. Archeologia, quale lavoro dopo l ’università? Un’analisi multidisciplinare del rapporto tra ricerca, formazione, professione e opportunità imprenditoriali. In D. Malfitana (Ed.), ARCHEOLOGIA, QUO VADIS? Riflessioni metodologiche sul futuro di una disciplina: 135–171. Catania: Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Introduzione
Nel corso degli ultimi venti anni, la ricerca scientifica si è caratterizzata per un approccio multidisciplinare, capace di ripensare le discipline di base, nella convinzione che la contaminazione possa generare nuova conoscenza. In un siffatto contesto, gli studiosi di archeologia più volte hanno messo in discussione il ruolo della propria disciplina nella società contemporanea, interrogandosi sulle possibili interazioni e sulle sinergie con scienze diverse e apparentemente “lontane”. Questa sfida pone non poche problematiche riguardo agli investimenti in capitale umano che sono necessari per far coesistere e sviluppare saperi diversi in modo integrato. Il riferimento è alla definizione di nuovi percorsi formativi, al disegno di progetti di ricerca innovativi e – a valle di tutto ciò – anche alla creazione di iniziative imprenditoriali. È nel solco di questa challenge che il presente lavoro mira a dare un contributo.
Lo studio esplora le implicazioni occupazionali della formazione accademica tradizionale in archeologia e, con uno sguardo empirico, presenta, distinguendoli, i tratti salienti della professione dell’archeologo all’interno delle organizzazioni pubbliche e private e analizza i modelli di business di tre iniziative imprenditoriali nel campo dell’archeologia. Infine, tratta gli strumenti finanziari approntati dalla Commissione Europea a supporto della ricerca, per la tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale, nonché altri strumenti innovativi per il finanziamento di iniziative imprenditoriali nello stesso settore.
La ricerca evidenzia che per generare valore è necessario investire sul capitale umano attraverso lo sviluppo di competenze che possono essere in grado di sostenere lo sviluppo della conoscenza e dell’innovazione. Presupposto cruciale al raggiungimento di un tale risultato sembra essere la sinergia tra università, istituzioni, enti territoriali, musei, fondazioni, imprese e associazioni, con l’obiettivo di sostenersi reciprocamente nel perseguimento della propria mission culturale, professionale, di ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico.
In questo scenario, quali cambiamenti hanno interessato le prospettive lavorative per l’archeologo nel rapporto tra formazione e professione? Quali nuove opportunità caratterizzano la professione oggi? Quali aspetti e criticità profilano e distinguono la professione dell’archeologo nel settore pubblico e privato? Guardando a recenti esperienze e iniziative di successo intraprese da archeologi: quali elementi caratterizzano una value proposition in grado di soddisfare i bisogni dei clienti? Quali risorse possono essere definite strategiche per elaborare una proposta di valore che trovi uno sbocco di mercato? Quali percorsi possono essere intrapresi per creare valore e trasferire la ricerca verso il mercato in un’ottica imprenditoriale? Quali sono gli strumenti finanziari a disposizione per sostenere le attività di ricerca per la tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale?
Diversi sono i temi in gioco nel rapporto tra archeologia, ricerca, formazione, professione e opportunità imprenditoriali, come diversi sono gli approcci e le competenze degli autori che hanno contribuito a questa ricerca. Il presente lavoro trova spazio in questo volume, nella consapevolezza della necessità di individuare nuove direzioni e prospettive multidisciplinari che – nel rispetto reciproco – possano offrire visioni per il futuro di una disciplina come l’archeologia e, al contempo, orientare le scelte e i percorsi professionali delle giovani generazioni di studiosi.
Questo lavoro è strutturato nel seguente modo: dopo l’introduzione, viene affrontato il rapporto tra formazione e professione alla luce delle vecchie e nuove prospettive lavorative per i giovani archeologi. In particolare, l’analisi mette a fuoco l’evoluzione del fenomeno negli venticinque anni, individuando due macro-periodi – pre e post 2000 – ed evidenzia come nell’ultimo decennio si sia rafforzato il ruolo esercitato dal patrimonio culturale nel Sistema Paese. Successivamente, infatti, viene descritto l’effetto moltiplicatore del comparto culturale e creativo sul sistema economico nazionale. Muovendo oltre, l’analisi identifica gli elementi di complessità specifica che differenziano la professione dell’archeologo nel settore pubblico da quello privato. Su questa linea di indagine, si giunge al focus dello studio. È con l’obiettivo di individuare quegli elementi che caratterizzano una formula imprenditoriale efficace nel soddisfacimento dei bisogni del proprio mercato di riferimento, che vengono esplorate le value proposition di tre iniziative imprenditoriali. A questo fine, tre casi di studio sono stati analizzati attraverso il business model canvas, consentendo di individuare gli elementi strategici per lo sviluppo di una adeguata proposta di valore e, allo stesso tempo, di tracciare quali percorsi imprenditoriali possono essere intrapresi per creare valore e trasferire la ricerca verso il mercato. In questa ottica, l’ultima parte del lavoro fornisce una classificazione delle opportunità di finanziamento, pubbliche e private alle quali l’archeologo – in forma singola o associata – può attingere, in relazione agli obiettivi professionali e di ricerca o all’idea di business che intende sviluppare. Infine, riflessioni di sintesi e implicazioni della ricerca concludono il contributo.
Dalla formazione alla professione: vecchie e nuove prospettive lavorative per i giovani archeologi (C.L.)
Lo scenario della formazione accademica è stato interessato nell’ultimo ventennio da profondi mutamenti che hanno sostanzialmente ridisegnato la fisionomia degli atenei italiani, sperimentando, alla luce di riforme, come la c.d. Berlinguer/Zecchino (legge 10 febbraio 2000, n. 30 “Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione”), meglio conosciuta come quella del «3+2», nuovi sistemi e nuovi percorsi didattici, volti ad agevolare la conclusione degli studi e l’ingresso nel mondo del lavoro.
A distanza di quasi vent’anni è possibile tracciare un bilancio di quanto finora attuato, certamente con luci e ombre, perché se da una parte, è stata ampliata l’offerta formativa, con l’inserimento di attività professionalizzanti e di discipline di ambito scientifico e tecnologico[1], dall’altra, pare essersi verificata un’inadeguata applicazione del nuovo sistema che, tra frammentazione, settorializzazione ed eccessivo generalismo, è risultato essenzialmente fallimentare.
I dati forniti da AlmaLaurea sono piuttosto impietosi e ci restituiscono l’immagine di un paradosso tutto italiano dove, a fronte dell’elevatissima concentrazione di beni archeologici non v’è una risposta positiva in termini di formazione, anzi il trend è quello di una vera e propria “fuga degli studenti dai beni culturali” per citare il titolo dell’articolo comparso su La Repubblica il 2 gennaio 2018, a firma di Salvo Intravaglia.
A pesare su questa fuga dall’università ci sono sicuramente anche fattori economici, nonché la scarsa spendibilità di competenze nel mondo del lavoro, i pensionamenti e il blocco del turn over delle assunzioni, solo per citarne alcuni. Questi costituiscono aspetti determinanti nel difficile rapporto tra formazione e professione nel settore dell’archeologia e, più in generale, del patrimonio culturale. Tra l’altro, l’analisi di questa relazione assume caratteri paradossali se si considera il valore, oggi più che mai, ampiamente riconosciuto ai beni culturali e la consapevolezza, più volte dichiarata, della necessità di una robusta politica culturale destinata alla loro conservazione e allo sviluppo della filiera produttiva nei settori che vi interagiscono e che producono nuova cultura. Oggi, infatti, si è di fronte a discipline, metodi di indagine, o se vogliamo, ad ambiti di applicazione, che nel tempo si sono notevolmente ampliati ed evoluti, contaminandosi con nuovi saperi, sino a rivestire un’importanza significativa nella pianificazione del territorio e nelle strategie di sviluppo delle risorse territoriali.
Archeologia e occupazione: tratti salienti del mercato del lavoro nell’ultimo quarto di secolo
Se guardiamo indietro di alcuni decenni, in uno scenario socio-economico sensibilmente diverso da quello attuale, caratterizzato da politiche generose e da notevoli assunzioni di personale in forza al settore pubblico (non si può non fare riferimento alla Legge Statale 1 Giugno 1977, n. 285), le prospettive di lavoro per i giovani laureati in archeologia erano un po’ diverse. Nel provare a tracciare un quadro si può fare riferimento al report La laurea non fa l’archeologo (1992-1993)[2], uno dei lavori più completi sulla professione di archeologo in Italia, tra MiBAC, Università, CNR, Società private e libera professione.
Già allora la situazione all’interno della pubblica amministrazione non era particolarmente rosea, in quanto caratterizzata da scarse possibilità di pervenire a un’assunzione regolare e permanente nei ruoli delle pubbliche amministrazioni[3] (PP.AA.). Il personale e i fondi a disposizione erano sufficienti a garantire la sopravvivenza dell’apparato burocratico ormai consolidato, ma per mandare avanti i lavori si ricorreva a leggi speciali, interventi straordinari e operazioni spettacolari (dove entravano molto in gioco i privati), che richiedevano collaboratori esterni, attinti da una folta compagine di disoccupati laureandi, laureati, specializzandi e specializzati in materie archeologiche. Quest’ultimi venivano chiamati con una certa continuità, proprio per far fronte alle mansioni ordinarie che non potevano essere normalmente espletate a causa della carenza di personale interno alle PP.AA.
Anche nel campo della ricerca le difficoltà non mancavano ed erano legate, ancora, a una situazione di stallo nelle assunzioni che, tra l’altro, non era circoscritta ai soli enti di ricerca, dato che una circostanza simile si creò in seguito al riordinamento della docenza e l’istituzione del ruolo di ricercatore nelle Università (L.28/80 e DPR 382/80).
Quindi, se da una parte le opportunità occupazionali negli enti pubblici e di ricerca si definivano sostanzialmente nell’ambito di collaborazioni occasionali e a durata limitata, dall’altra si concretizzavano in forme societarie (spesso cooperative) o assunzioni a tempo determinato presso enti o imprese private. La maggior parte degli archeologi trovava un’occupazione nell’ambito delle varie attività di “collaborazione” assumendo, così, il ruolo di “collaboratore esterno” (spesso impegnato in scavi archeologici d’emergenza), soggetto a rinnovo periodico, con una elevata percentuale di lavoro non retribuito che l’archeologo doveva svolgere “ai margini” della propria attività di collaborazione retribuita.
In un contesto di reale difficoltà derivante dalla non chiara definizione professionale nel settore e, dunque, dell’attività archeologica, tali collaboratori hanno rappresentato una categoria di precariato particolarmente debole, che ha sofferto di una scriteriata applicazione dei requisiti di reclutamento, del mancato intervento e regolamentazione del sistema retributivo e del crescente sviluppo del lavoro non retribuito, “volontario”.
Tali criticità hanno certamente messo in evidenza la necessità di intervenire su diversi fronti, a partire dal rapporto tra formazione e lavoro, proseguendo verso la richiesta di un inquadramento sindacale più equo e vantaggioso, dalla quale deriva la proposta di legge sull’Albo, intesa come potenziale strumento per combattere il diffuso precariato esterno[4].
Non si può, dunque, prescindere da tali premesse per inquadrare la situazione attuale e cogliere il senso di alcuni cambiamenti avviati, non solo nel campo della formazione, con percorsi sempre più “abilitanti” e adeguati alle nuove sfide poste dal mercato del lavoro. L’introduzione, ad esempio, dell’archeologia preventiva (legge 109/2005 poi confluita negli articoli 95-96 del D.Lgs. 163/2006, Codice degli appalti) ha sancito la definizione di precisi requisiti formativi (diploma di Scuola di Specializzazione in Archeologia o Dottorato di ricerca in Archeologia) per il vaglio e la verifica della Valutazione di Impatto Archeologico (VIArch).
Oggi il contesto politico ed economico continua ad essere caratterizzato da una prolungata stagione di tagli alle sovvenzioni pubbliche alla cultura, all’università e alla ricerca attuate per far fronte a una crisi economica che ormai ha superato la soglia del decennio. Gli effetti di tali politiche non hanno tardato ad arrivare e si sono tradotti, come in passato, in un lungo blocco delle assunzioni nel settore pubblico, dunque nel mancato turn over e nella continua riduzione del personale dirigente e tecnico, nonché nel progressivo esaurimento dei fondi per il finanziamento di attività di ricerca, borse di studio e assegni di ricerca. Per cui, mentre l’esercito di laureati archeologi cominciava a crescere e, nell’attesa di un impiego stabile, ad accumulare titoli ed esperienze sempre più professionalizzanti, le prospettive occupazionali cominciavano ad essere inaccessibili.
Pochi, pochissimi, risultano essere i concorsi pubblici banditi dal 2000 ad oggi, tra questi spiccano indubbiamente il bando MiBAC del 2008 (Gazzetta Ufficiale n. 56 del 18/7/2008), che apriva le porte a 30 funzionari archeologi e quello del 2016 per l’assunzione a tempo indeterminato presso il MiBACT di 90 archeologi[5] (Gazzetta Ufficiale n.41 del 24/5/2016), il cui numero di domande presentate (5.500 per i candidati archeologi del 2008 e 3.286 per quelli del 2016) chiarisce il rapporto tra soggetti in cerca di un’occupazione e le reali possibilità d’impiego di tipo “tradizionale”. Il fenomeno appare ancor più chiaro, se a queste si aggiungono le altrettanto esigue opportunità presso le università e gli enti di ricerca. In questi contesti, i concorsi pubblici, quando banditi, non possono soddisfare né le richieste di accesso né permette di ridurre il precariato. Infatti, i rapporti di lavoro si articolano in forme contrattuali abbastanza variegate e in collaborazioni a progetto, corsi o borse di studio a valere su specifici bandi (regionali, nazionali e internazionali), che spesso costituiscono l’unica fonte di finanziamento.
A distanza di oltre vent’anni dalla pubblicazione del dossier “La laurea non fa l’archeologo” la situazione si è mantenuta sostanzialmente immutata determinando, da una parte, la proliferazione di contratti di lavoro flessibili per giovani, e poi meno giovani, ricercatori, che hanno progressivamente incrementato il numero di unità di personale precario nelle PP.AA., nelle università e negli enti di ricerca, dall’altra l’impossibilità per molti giovani laureati di accedere al mondo del lavoro nel settore del patrimonio culturale, costringendoli a ripiegare verso scelte alternative, possibilmente lontane dal loro percorso di studi.
Interessante è, a questo proposito, il report fornito da Discovering Archaeologists of Europe (Disco 2014)[6], un progetto europeo finalizzato al monitoraggio, allo sviluppo e alla valorizzazione del lavoro degli archeologi in Europa, dove viene tracciato un “ritratto” dell’archeologo di oggi. Per quanto riguarda l’Italia, i dati sono stati raccolti ed elaborati dalla Confederazione Italiana Archeologi (CIA), unico partner italiano del progetto, e presentati in anteprima alla Camera dei Deputati il 23 luglio 2014[7].
Secondo lo studio condotto tra il 2012 e il 2013, l’archeologo-tipo è donna (il 70,79%), sui 37 anni, precaria e percepisce uno stipendio annuo di circa 10 mila euro, a fronte di una robusta formazione. Nel suo lavoro mantiene prevalentemente rapporti di collaborazione con enti pubblici come libera professionista a partita Iva o con contratto a progetto. Col tempo, tende ad abbandonare questa occupazione poiché scoraggiata dalla mancanza di prospettive, in un mercato già difficile, viziato dalla tendenza all’abbassamento delle tariffe professionali[8]. In questo senso, l’assenza o comunque la carenza di parametri di valutazione affidabili contribuisce fin dal momento del conferimento degli incarichi a generare una situazione di effettiva instabilità.
In Italia il numero stimato di archeologi attivi nel biennio 2012-2013 è circa 4500[9] unità, a fronte di un numero di laureati che, sebbene tendenzialmente in calo, si mantiene comunque elevato rispetto alle richieste del mercato del lavoro[10].
Attualmente le attività principali degli archeologi risultano essere i cantieri di scavo, la tutela e la ricerca, nelle sue forme più svariate. Secondo i dati Disco 2014, quasi un quarto degli intervistati indica il museo come luogo principale di lavoro, inteso come luogo in cui si fa servizio al pubblico, didattica o visite guidate. Entrando più nel dettaglio, tuttavia, emerge che le Università (20%) e le società archeologiche (17%) costituiscono le principali realtà lavorative, seguite poi dal MiBACT (15%), dai Comuni (7,8%) e dalle società impegnate nel turismo (5,9%) (Figura 1).
Le cosiddette partite IVA, insieme a un numero abbastanza significativo di cooperative e società specializzate nel settore, rappresentano la dimensione lavorativa più diffusa, in grado di adempiere a quegli impegni di studio, tutela e valorizzazione, il cui peso risulterebbe molto probabilmente insostenibile per le PP.AA.
Si tratta di un insieme ormai ampiamente consolidato e definito di realtà lavorative che ha finito per occupare un mercato del lavoro ristretto e saturo, in questo settore soprattutto, sul quale incide negativamente la mancanza di una normativa univoca sugli appalti pubblici, sulle figure professionali e, di conseguenza, sulla logica dei compensi. Il meccanismo dell’archeologia preventiva, nella fattispecie, è quello che soffre maggiormente di tale deficit, caratterizzandosi come un gioco al massimo ribasso, dove i vincitori propongono offerte quasi fuori mercato che penalizzano la qualità stessa della competizione, ma, soprattutto, che non riescono a garantire la sopravvivenza stessa dei soggetti, costringendoli ad altre attività. Dunque, tra precarietà ed inadeguatezza economica, persiste in una situazione di profonda instabilità dove le opportunità di successo sono legate alla capacità di contenere i costi e di sostenere forme contrattuali deboli e bassi livelli retribuitivi. Per questa ragione, accanto alle più consuete attività di scavo, studio e tutela, legate all’archeologia professionale, il mercato del lavoro nell’ambito del patrimonio culturale si è arricchito, ultimamente, di nuove offerte, soluzioni e servizi innovativi in grado di coprire nicchie di mercato, poco esplorate, che favoriscono la sperimentazione e l’unione di conoscenze e competenze.
Trasversalità e multidisciplinarietà: nuove opportunità professionali tra ricerca, fruizione e comunicazione archeologica
È proprio l’iniziativa privata ad aver mostrato nel corso degli ultimi anni un sostanziale cambiamento, caratterizzandosi per l’integrazione di competenze e professionalità di tipo “tradizionali” con altre di tipo manageriale e o di marketing per i beni culturali. Gli esempi sono abbastanza numerosi[11], da Massaciuccoli Romana[12] all’Archeodromo di Poggibonsi[13], dalla Cooperativa La Paranza[14] ai numerosi progetti editoriali di comunicazione e divulgazione archeologica online, che hanno favorito la nascita di figure come i Social Media Manager per la cultura, i quali si occupano dello sviluppo di strategie digitali per istituzioni e progetti culturali, curandone la presenza social e la programmazione editoriale per il web[15].
Tali esperienze hanno evidenziato le ricadute occupazionali e, soprattutto per quanto riguarda quei casi di gestione di siti culturali, la capacità di generare esternalità positive per il territorio e le comunità locali. I fattori che hanno favorito la nascita di imprese e progetti innovativi, come quelli qui richiamati, probabilmente sono da ascrivere all’ampliamento dell’offerta formativa, alla sempre più diffusa applicazione delle tecnologie al patrimonio culturale e al rinnovato interesse verso l’economia turistica o, più in generale, nei confronti del comparto culturale.
L’ingresso delle nuove tecnologie digitali nel mondo dei beni culturali, lo sviluppo di applicazioni, il diffuso impiego del 3D e della Augmented Reality hanno sicuramente contribuito a rilanciare il settore, stimolando iniziative interessanti in grado di rivitalizzare economie territoriali. Il riferimento è a quelle giovani esperienze di start-up culturali e spin-off che, coniugando innovazione tecnologica e sociale, sperimentano nuovi modelli per rendere più accessibile la conoscenza e produrre valore culturale, con ricadute più che positive sul piano dell’occupazione.
Nel 2017, alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum sono state presentate numerose ArcheoStartUp[16] che, tra progetti di turismo esperienziale, digitalizzazione del patrimonio storico-archeologico, guide interattive e virtual tour, hanno fornito un quadro abbastanza chiaro di come oggi sia possibile sperimentare e integrare competenze ed esperienze, in modo innovativo, rispondendo in modo efficace alle richieste di un mercato in continua evoluzione. Tra l’altro il riconoscimento e la definizione delle imprese culturali e creative (Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative, AC Camera 2950) rappresenta, in questo senso, un ulteriore elemento a conferma del valore strategico che tali realtà hanno ormai assunto per il nostro Paese.
In sostanza, è in gioco la possibilità di offrire all’impresa culturale l’opportunità di un nuovo percorso di sviluppo economico e sociale e favorire la nascita di ecosistemi centrati su poli culturali, dinamici e produttivi, in cui può prosperare l’impresa culturale e creativa, in modo da contrastare la disoccupazione qualificata e giovanile, che in assenza di una domanda adeguata di lavoro si dirige altrove. Si tratta, in definitiva, di incanalare il rapporto tra formazione e occupazione verso un percorso univoco, in grado di fornire quelle conoscenze specialistiche e quelle competenze trasversali. Infatti, oggi appare in maniera più marcata rispetto ai decenni precedenti, che i professionisti che operano nel settore dei beni culturali arricchiscono il proprio bagaglio di competenze tradizionali sconfinando in altre discipline, completando in questo modo profili professionali sempre più specializzati.
Lo scenario tracciato tende, dunque, a mantenersi sicuramente complesso, ma le opportunità si sono notevolmente ampliate grazie all’uso delle nuove tecnologie e, soprattutto, alla crescente attenzione verso il comparto culturale, in quanto driver di sviluppo sociale ed economico del Paese. Proprio il rapporto tra patrimonio culturale ed economia ha ormai superato i caratteri di contrapposizione, definendosi invece in termini di convergenza e, in parte, perfino di coincidenza, dove il primo agisce da motore trainante del secondo, divenendo, di fatto, un fattore strategico che maggiormente alimenta la qualità e la competitività dell’offerta culturale.
Il ruolo del sistema produttivo e culturale in Italia e peculiarità della professione dell’archeologo nel confronto tra settore pubblico e privato (V.V.)
L’effetto moltiplicatore del sistema produttivo e culturale e creativo sull’intera economia
La cultura in Italia genera valore per 89,9 miliardi di euro (circa il 6% dell’intera economia) e occupa, in totale, 1,5 milioni di persone (circa il 6 % dei lavoratori). Tale dato – riferito al 2017 – risulta in crescita dell’1,5 % rispetto al prodotto nazionale generato dal comparto culturale in Italia nell’anno precedente. L’economia legata alla cultura produce effetti positivi sulla intera filiera culturale sostenendo sia la formazione di capitale intellettuale che lo sviluppo dei settori contigui. Il settore cultura agisce infatti da driver per l’assunzione di laureati nelle aziende – circa il 40 % sul totale degli addetti – con valori doppi rispetto al resto dell’economia, dove il dato si aggira intorno al 20% sul totale. L’impatto generato dall’economia della cultura e della creatività accresce il valore del sistema produttivo culturale e creativo sino a raggiungere circa il 16,7 % dell’intero output italiano per un valore pari a 250 mld di €. Come mostrato in figura 2, la spesa culturale attiva circa 160 mld di € per un totale di filiera pari a 250 mld di €.
Il settore che maggiormente beneficia dell’effetto moltiplicatore della spesa culturale sembra essere il turismo che se ne avvantaggia per circa il 38% della spesa turistica complessiva (Symbola, 2017). Nel binomio cultura-turismo sono i musei ed il patrimonio storico-artistico a generare la maggior parte del valore aggiunto del settore. Secondo i dati diffusi dal MiBACT – riguardo ai numeri dei musei italiani per l’anno 2016 – l’archeologia sembra essere un settore trainante all’interno dell’economia turistica. Infatti, nella top 30 dei musei e siti archeologici per numero di visite, i visitatori del circuito Colosseo-Foro Romano e degli scavi di Pompei rappresentano circa il 38% del totale dei visitatori registrati.
Se da un lato il sistema culturale produce esternalità positiva a beneficio dell’economia turistica e segnatamente i siti archeologici sembrano essere quelli che maggiormente se ne avvantaggiano (Symbola, 2017), dall’altro lato le opportunità professionali ed economiche per gli archeologici soffrono di criticità strutturali. Questo quadro emerge dal rapporto “Disco 2014”, realizzato dalla Confederazione Italiana Archeologi, che mette in evidenza come precariato, scarsi compensi e incertezze professionali sono i tratti caratteristici comuni alla professione e allo studioso di archeologia.
Aspetti e criticità dell’archeologia professionale nel settore pubblico e privato
L’archeologo trova oggi occupazione sia nel settore pubblico che in quello privato: i due settori, come è noto, presentano differenze organizzative con riferimento al tipo di attività svolta, al tipo di impiego, alla retribuzione, alla presenza di genere e alla relativa stabilità della professione.
Secondo i dati diffusi dal rapporto Disco 2014, le organizzazioni pubbliche impiegano complessivamente 921 archeologi: 400 unità presso il MiBACT, 371 unità presso il MIUR (negli atenei) e 150 unità presso il CNR. All’interno delle tre organizzazioni pubbliche esistono differenze di funzioni e ruoli. In particolare, presso il MiBACT gli archeologi sono assunti prevalentemente con contratto a tempo indeterminato inquadrati come funzionari con compiti di direzione di musei ed aree archeologiche e percepiscono uno stipendio medio tra 24.000 € 48.000 € lordi annui. Nei ruoli dirigenziali sono 26 unità impiegate, 2 su 3 di queste sono uomini, mentre tra i funzionari 2 su 3 sono donne.
Negli atenei italiani 390 docenti fanno riferimento al raggruppamento ‘Archeologia’ suddivisi in 155 ricercatori, 216 professori, di cui 77 ordinari e 139 associati; a questi vanno aggiunti 119 assegnisti di ricerca. Le retribuzioni medie si aggirano intorno a 33.900 € con minimi anche di 11.000 € annui. Anche nelle università all’aumentare della responsabilità il rapporto tra i generi risulta sbilanciato a favore di una maggiore presenza di uomini tra i professori ordinari.
Al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) afferiscono 4 istituti (IBAM, ITABC, ICVBV e ISMA), che si occupano di archeologia e patrimonio culturale. Questi impiegano 150 archeologi, in maggioranza ricercatori con contratto a tempo indeterminato che percepiscono un reddito lordo compreso tra 18.000 € e 30.000 € annui.
Organizzazione | Ruolo | n. | Retribuzione media | Rapporti di genere |
MiBACT | Dirigenti | 26 | 71.000 € – 79.000 € | U 64% – D 34% |
Funzionari | 374 | 24.000 € – 48.000 € | U 30% – D 70% | |
co.co.co. | 4 | 17.000 € – 21.000 € | n.d. | |
Università | Professori Ordinari | 77 | 67.000 € | U 62% – D 38% |
Professori Associati | 139 | 33.900 € | U 44% – D 56% | |
Ricercatori | 155 | 33.900 € | U 48% – D 52% | |
Assegnisti | 119 | 10.000 € – 25.000 € | U 38% – D 62% | |
CNR | Direttore | 1 | n.d. | n.d. |
Ricercatori | 56 | 18.000€ – 30.000 € | ||
Assegnisti | 23 | 18.000€ – 30.000 € | n.d. | |
Borsisti | 4 | 18.000€ – 30.000 € | n.d. | |
Dottorandi | 1 | n.d. | n.d. |
Nel settore privato, invece, il core business delle organizzazioni che si occupano di archeologia è rappresentato dagli scavi e dai servizi aggiuntivi offerti ai musei e alle aree archeologiche. Per concorrere alla realizzazione di scavi archeologici per la committenza pubblica è necessario possedere la certificazione “OS25”. Tale certificazione è posseduta solo da una minoranza di imprese. Le imprese operanti nel settore archeologico in media sono di piccole dimensioni – al di sotto dei 18 dipendenti – e solo quelle di grandi dimensioni sono in possesso della certificazione per partecipare alle gare pubbliche per gli scavi. I lavoratori impiegati nelle commesse private (es. posa e/o sostituzione di cavi, tubi e scavi) percepiscono una retribuzione oraria che oscilla tra 5 e 10 € per ora. Questo tipo di attività dominata dal criterio del massimo ribasso ha ulteriormente ridotto i compensi su base oraria, a detrimento del valore e del ruolo professionale dell’archeologo. Un altro aspetto di criticità è rappresentato dai tempi medi di pagamento operati dalle imprese in favore dei professionisti. Tali ritardi sono molto spesso influenzati dai tempi di pagamento che l’impresa subisce da parte della committenza. Questo aspetto è di forte criticità, se si tiene conto delle ridotte dimensioni delle aziende che operano in questo settore. I tempi di pagamento, pongono non pochi problemi di solvibilità e di equilibrio finanziario delle imprese, specie quando piccole imprese svolgono lavori per la committenza pubblica, i cui tempi di pagamento sono ulteriormente diluiti.
Per ciò che concerne i rapporti di lavoro, le società che operano in questo settore sembra prediligano instaurare rapporti di collaborazione professionale esterna con gli archeologi in luogo del classico rapporto di lavoro subordinato. Inoltre, nelle imprese operanti nel settore archeologico si registra un basso livello di turnover tra i collaboratori esterni. Occasionalità della collaborazione esterna e basso turnover dei collaboratori, precarizzano la posizione lavorativa dell’archeologo e creano barriere di accesso per i c.d. newcomer professional: tali aspetti implicano una condizione strutturale di difficoltà di accesso al lavoro professionale tanto da dipendente quanto da libero professionista.
Per fronteggiare queste difficoltà, una nuova generazione di imprese, molto spesso sotto forma di cooperative di archeologi, stanno innovando il mercato differenziando la loro offerta di servizi. Infatti, alle classiche attività di scavo, rilievo e restauro, tali aziende stanno sviluppando e affiancando servizi aggiuntivi tra cui ad es. lo sviluppo di soluzioni web-GIS, le ricostruzioni 3D e la VIARCH (valutazione impatto archeologico). Questi nuovi servizi offrono non poche opportunità di lavoro per gli archeologi più qualificati che non riuscendo a trovare lavoro nelle attività tradizionali come scavo e ricerca continuano a formarsi e ad acquisire competenze multidisciplinari utili a innovare la professione classica.
Come mostra la figura 3 (sx), il mercato di riferimento per le società, è rappresentato per circa la metà da committenze private, il 35 % da enti pubblici mentre il MiBACT sostiene un 4 %. Come già detto, le imprese sono di piccole dimensioni con un fatturato medio che si attesta al di sotto delle 50.000 € annue. Il fatturato proviene in larga parte dalle attività di scavo la cui durata media è al di sotto dei 30 gg. Osservando la figura 3 (dx), è possibile notare come le attività di scavo propriamente dette, assistenza agli scavi, l’archeologia preventiva e gli scavi di ricerca, cumulano un notevole 79% di incidenza. Ciò a dimostrazione del fatto che la professione sia ancora ampiamente caratterizzata dall’attività “principe”. La stessa figura ci indica che il 15% dei ricavi delle imprese archeologiche proviene da attività altre, ciò fa ben sperare riguardo alla possibilità di ingresso in nuovi ed altri mercati con servizi ad elevato valore aggiunto e fortemente innovativi, di cui si dirà più avanti.
Dall’analisi dei tratti salienti del lavoro dell’archeologo all’interno delle organizzazioni pubbliche e private emergono in tutta la loro chiarezza le criticità che caratterizzano una attività professionale impegnata nello studio delle civiltà, delle culture del passato e delle loro relazioni con l’ambiente circostante. Per gli archeologi, l’opportunità di sviluppare un discorso sull’antico dipende in larga misura dalla possibilità di lavorare per una organizzazione pubblica. Infatti, il lavoro nel settore pubblico è – per lo più – caratterizzato da stabilità, responsabilità e durata. La stessa condizione non è riscontrabile nel settore privato, che è invece fortemente caratterizzato da contratti di collaborazione per attività di sorveglianza archeologica, bassi fatturati per le imprese e tempi di pagamento molto lunghi per le committenze pubbliche. In questo contesto, le uniche nuove opportunità di mercato per le imprese operanti nel settore dell’archeologia sembrano essere riferibili nella erogazione di servizi “turistici” (es. visite guidate, didattica, rievocazioni storiche), o attraverso l’impiego della tecnologia (es. applicazioni per cellulari e siti web), nei servizi ad alto contenuto tecnologico (es. web-GIS e database) o a supporto della ricerca (es. editoria e publishing).
Nel panorama italiano, non pochi archeologi – spesso giovani e altamente qualificati – hanno intrapreso nuove strade, sviluppando progetti innovativi capaci di dare sostenibilità a delle iniziative economiche: questo è il focus delle sezioni che seguono.
L’analisi di tre iniziative imprenditoriali nel settore dell’archeologia attraverso il Business Model Canvas (V.V.)
In questo paragrafo sono discusse tre iniziative imprenditoriali nel settore dell’archeologia. L’obiettivo è quello di comprendere quali value proposition sono al centro di iniziative imprenditoriali significative nel campo dell’archeologia. Lo studio vuole fornire evidenze circa la presenza di nuovi spazi ed opportunità nel campo dell’archeologia in Italia. In particolare, le tre iniziative analizzate sono riferibili alle seguenti categorie: 1) un ex spin-off universitario; 2) una cooperativa di archeologi; ed 3) una professionista nel settore della comunicazione per i beni culturali.
Come suggerito da Yin (2013) e raccomandato da Lewis, Thornhill, and Saunders (2007), per lo sviluppo dei casi di studio appare necessario ricorrere all’uso di molteplici c.d. source of evidence per la raccolta di dati primari e secondari. A questo scopo si è attinto da documenti aziendali, articoli scientifici, articoli di stampa e interviste semi-strutturate ai soggetti coinvolti. Attraverso la raccolta di informazioni è stato possibile comprendere più diffusamente il modello di funzionamento dell’azienda e permettere lo studio degli elementi costitutivi del modello di business.
L’analisi di molteplici casi di studio – invece che di un singolo caso – è in linea con l’obiettivo della ricerca. Scopo dell’analisi è infatti esplorare e presentare al lettore diverse esperienze afferenti al settore dell’archeologia e non invece di tracciare traiettorie comuni alle stesse. In aggiunta, il ricorso a più casi di studio mitiga i tradizionali limiti della ricerca qualitativa (Stake, 2005; Yin, 2013). L’analisi dei tre casi di studio è stata sviluppata attraverso il Business Model Canvas (Osterwalder & Pigneur, 2013) e mira a comprendere in che modo queste organizzazioni creano valore. Lo sviluppo di una idea imprenditoriale richiede una forte coerenza tra tre componenti: l’ambiente esterno e i suoi bisogni, le caratteristiche del servizio offerto e fattori interni quali la struttura organizzativa, le risorse, la conoscenza e competenza dei soggetti (Coda, 2010; Normann, 1977). Sebbene gli studiosi di management non sono concordi su una comune definizione di modello di business alcuni tratti comuni possono essere identificati (Amit & Zott, 2010). Il modello di business è una nuova unità di analisi diversa dal sistema di prodotto, dall’azienda, dal settore industriale o dal network. Il focus di questa analisi è infatti l’organizzazione, intesa come più ampio sistema aziendale in grado di creare e acquisire valore.
Il confronto tra modelli di business evidenzia peculiarità, affinità e divergenze tra i business case analizzati. Inoltre, lo studio dei casi indica in che modo i progetti imprenditoriali generano valore a beneficio dell’organizzazione e dei clienti. In questo modo possono essere individuate modalità attraverso cui esplorare i bisogni di potenziali clienti e valorizzare le competenze acquisite durante gli anni di formazione dalle generazioni di studiosi di archeologia.
Archeòtipo s.r.l., dalla ricerca al trasferimento del sapere archeologico verso il grande pubblico
Archeòtipo srl è una società, nata nel 2010 come spin-off dell’Università degli Studi di Siena, attiva nell’ambito dei beni culturali e in particolare dell’archeologia. Le principali attività riguardano la ricerca archeologica e storica, l’archeologia preventiva, la valorizzazione dei beni culturali, gli allestimenti museali e delle aree archeologiche, la didattica e la divulgazione culturale, la living history e l’archeologia sperimentale. Inoltre la società fornisce servizi informatici per attività di studio e documentazione (sistemi informativi territoriali), comunicazione, promozione e divulgazione (sitiweb, grafica, cartografie turistiche, ecc.).
Nel panorama italiano Archeòtipo s.r.l. rappresenta una esperienza significativa (Valenti & Salzotti, 2017) rispetto alla possibilità di generare e offrire valore attraverso nuovi servizi nel settore dell’archeologia. Infatti, Archeòtipo impiega oggi stabilmente 9 archeologi (di cui 5 full time) – formatisi presso la Scuola di Archeologia Medievale dell’ateneo senese (Proff. Francovich e Valenti) – oltre ad avvalersi di un gruppo di collaboratori professionali esterni.
La figura 4 riporta i nove blocchi del business model canvas e permette di leggere in chiave sistemica gli aspetti rilevanti del modello di business di Archeòtipo s.r.l. In questa sede, si è privilegiato analizzare i servizi che maggiormente contribuiscono al fatturato dell’azienda, tralasciando i servizi ad oggi residuali.
L’analisi del modello di business coglie gli elementi salienti della value proposition e fornisce indicazioni riguardo le modalità, le condizioni tecniche ed economiche attraverso le quali l’azienda è in grado di soddisfare le esigenze dei propri clienti. Primariamente, la proposta di valore dell’ex spin off dell’Università di Siena mira al trasferimento di conoscenza storica al grande pubblico attraverso un approccio orizzontale incentrato sulla condivisione di esperienze sensoriali. Tale narrazione storica può avvenire nell’ambito di appuntamenti settimanali organizzati presso l’archeodromo di Poggibonsi (Valenti – Salzotti 2018), attività didattiche o iniziative specifiche come – ad esempio – la ricostruzione dei mestieri raffigurati nell’affresco Allegoria del Buon Governo (Allegoria del Buon Governo, 1338-1339, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena) avvenuto durante l’evento Siena Food Innovation (Siena 5-6 ottobre 2017). Tali obiettivi possono essere raggiunti poiché l’azienda sviluppa attività di living history e storytelling collettivo all’interno dell’archeodromo di Poggibonsi, ma anche attività di ricerca archeologica e storica in grado di supportare adeguatamente la ricostruzione e la riproduzione di scene di vita quotidiana, nonché le tecniche costruttive di strutture/edifici e attrezzature dell’Alto Medioevo. Le risorse sottostanti allo sviluppo di tali attività sono da un lato il personale che opera in azienda e il contributo di know how, know what e know why (Bivona, 2012)che questo è in grado di apportare e che si sostanzia nella capacità di saper trasferire alle comunità locali, alle scolaresche e ai visitatori contenuti storici complessi. Mettendo a frutto il capitale intellettuale, l’azienda realizza uno storytelling collettivo capace di riprodurre/ricostruire adeguatamente i rapporti sociali dell’alto medioevo. In questo senso, partner essenziale è l’Università di Siena da cui l’azienda è nata per gemmazione con l’obiettivo di presentare sul mercato il frutto di 15 anni di ricerca maturata dall’equipe del LIAAM (Laboratorio di Informatica Applicata all’Archeologia Medievale – Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti).
Archeòtipo offre i propri servizi prevalentemente su commessa ad una ristretta tipologia di clienti. Per quanto riguarda le attività svolte presso l’archeodromo di Poggibonsi, i clienti principali sono i cittadini appartenenti alle comunità locali e le amministrazioni locali. Con essi Archeòtipo intrattiene rapporti orizzontali in pieno spirito di collaborazione e condivisione degli obiettivi. Infatti, le amministrazioni locali e le associazioni presenti nelle comunità sono partner essenziali con i quali pianificare lo sviluppo delle attività.
Guardando invece alla parte in basso del business model canvas, dove vengono menzionati gli aspetti precipuamente economici, i ricavi, in larga parte, provengono dalla vendita dei biglietti di ingresso all’archeodromo, dalle visite guidate e dal contributo erogato del Comune di Poggibonsi a fronte dell’attività svolta. A questi proventi vanno aggiunti quelli ottenuti dalle attività di ricostruzione storica e di rappresentazione svolta su commissione. Marginale è invece la quota di ricavi proveniente da scavi, in osservanza ad una precisa strategia aziendale. I componenti negativi di reddito primariamente riguardano gli stipendi, gli oneri figurativi (lavoro svolto dai soci non retribuito ad es. la progettazione/costruzione di capanne e/o attrezzature e la manutenzione delle stesse) e i costi per servizi acquistati sul mercato.
Dall’analisi emerge chiaramente come Archeòtipo può oggi essere vista come una innovazione di prodotto e di metodo che consente di generare e offrire valore, elevando il livello complessivo dell’offerta e della comunicazione archeologica. L’intuizione e la comprensione che queste necessità, erano/sono espresse dal mercato è frutto dell’incontro tra l’iniziativa economica privata, quella pubblica, il supporto delle amministrazioni locali e l’esperienza maturata in anni di ricerca dal team di archeologi coinvolti nel progetto. Questo modello di business sembra essere sostenibile e gode di una fitta rete di relazioni, infatti rappresenta un valido esempio di gestione, fruizione, valorizzazione e comunicazione del bene archeologico, nonché di partecipazione e condivisione dello stesso.
Archeofficina: una cooperativa siciliana per la valorizzazione del patrimonio archeologico, architettonico e artistico del territorio
Archeofficina nasce nel 2013 dalla volontà di tre giovani archeologi di promuovere e valorizzare il patrimonio archeologico, architettonico e artistico del territorio in cui operano. La società cooperativa opera nel settore archeologico e delle attività didattico-culturali e offre un concreto e valido contributo anche nell’ambito della ricerca, della tutela e della promozione dei beni culturali e archeologici.
La cooperativa opera in Sicilia, nel territorio della provincia di Palermo dove gestisce due progetti di valorizzazione di siti archeologici: la Catacomba di Porta d’Ossuna a Palermo e la Catacomba di Villagrazia di Carini, entrambe sotto la direzione della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. La gestione dei monumenti è il core dell’attività, intorno alla quale la cooperativa ha sviluppato altri servizi come la sorveglianza archeologica e la ricerca archeologica. Archeofficina oggi impiega stabilmente 3 archeologi a cui si aggiungono 2 collaboratori. La proposta di valore della cooperativa si sostanzia primariamente nella gestione, valorizzazione e fruizione del patrimonio archeologico e, in secondo luogo, nella promozione delle tecniche e dei metodi della ricerca archeologica. In figura 5 è riportato il modello di business della cooperativa. La valorizzazione del patrimonio archeologico si concretizza nella gestione delle catacombe situate a Palermo e Carini. Questi siti sono gestiti in toto dalla cooperativa, sono aperti al pubblico e visitabili dietro pagamento di un biglietto. Attraverso dei laboratori di archeologia sperimentale, la cooperativa contribuisce alla promozione della ricerca archeologica. In particolare, questi laboratori sono dedicati alle scolaresche e prevedono simulazioni di scavi all’interno di apposite casseforme, nonché il recupero di reperti e la realizzazione di affreschi seguendo le tecniche antiche.
L’analisi del modello di business di Archeofficina mostra le modalità attraverso le quali la cooperativa riesce ad offrire valore ai segmenti di clientela cui si rivolge. In questo senso, la gestione delle catacombe richiede l’esecuzione di alcune attività associate alla erogazione del servizio. Predominanti sono le attività di amministrazione dei due siti archeologici che comprendono attività ordinarie e straordinarie (dallo scouting progettuale alla manutenzione delle strutture). Altre attività essenziali riguardano iniziative di marketing e di promozione dei siti archeologici, che comportano il contatto diretto dei potenziali clienti – turisti e scolaresche – e la diffusione attraverso i social network della proposta culturale offerta dalla cooperativa. Lo scouting progettuale è un’attività funzionale allo sviluppo dei servizi offerti attraverso la realizzazione di alcuni investimenti essenziali (es. spazi, strutture e attrezzatture). Le attività di archeologia preventiva si sostanziano nella sorveglianza archeologica degli scavi; lavori realizzati su commessa a beneficio di imprese private, con le quali Archeofficina ha sviluppato rapporti di fiducia.
Per la realizzazione delle attività al centro del modello di business, Archeofficina ha sviluppato un set di risorse strategiche, configurando in questo modo un sistema di asset di carattere tangibile e intangibile, strumentale alla creazione della value proposition aziendale. In particolare, sono risorse chiave le risorse umane e le competenze che esse apportano per il miglioramento e la realizzazione dei processi aziendali. Gli archeologi di Archeofficina hanno infatti competenze molto varie che vanno dal rilievo delle strutture alla modellazione 3D, dalla ricerca ed editoria alla didattica e pedagogia e alle lingue straniere, dalla comunicazione al web-publishing. Tali skill consentono alla cooperativa di poter svolgere molti dei processi al proprio interno aumentando in questo modo il valore aggiunto. Nel corso degli anni Archeofficina ha acquisito strumentazione e attrezzature che hanno oggi un ruolo essenziale per l’erogazione dei servizi (es. le passerelle, il sistema di illuminazione acquisito per la fruizione delle catacombe; pannellature espositive, attrezzatture per la didattica e per l’archeologia sperimentale). Inoltre, la cooperativa ha sviluppato partnership funzionali per la creazione di valore. Queste includono i principali stakeholder indispensabili per lo svolgimento delle attività d’impresa: la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, la Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Palermo, l’Università degli studi di Palermo ed il Comune di Carini. Grazie alle intense collaborazioni sviluppate con la rete di stakeholder Archeofficina è in grado di migliorare la qualità dei servizi offerti e sviluppare ulteriormente il proprio business.
Il flusso di ricavi proviene, in larga parte, dalle visite alle catacombe e secondariamente dalle attività di scavo. Marginali sono le sponsorizzazioni e i proventi associati alla didattica sperimentale. I componenti negativi di reddito, invece, sono primariamente originati da costi di personale e dagli oneri figurativi (lavoro reso gratuitamente dai soci della cooperativa) e dal reintegro degli investimenti effettuati (attrezzature e strutture necessarie per la fruizione delle catacombe).
L’analisi del business model di Archeofficina evidenzia che la proposta di valore della cooperativa è costruita intorno ad una partnership molto solida con la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e che le competenze diversificate degli archeologi che per essa lavorano hanno consentito di sviluppare ulteriormente un sistema di servizi più ampio. Capitalizzando l’esperienza maturata nei primi anni di start-up, Archeofficina, sta ampliando le proprie basi economiche e diversificando la provenienza dei ricavi. La cooperativa è una micro azienda e sembra essere una attività sostenibile che sta crescendo in modo bilanciato. Tale esperienza può rappresentare un valido esempio di come un singolo progetto di gestione, fruizione e valorizzazione di un bene archeologico può diventare un progetto di impresa sempre più complesso
Astrid D’Eredità: una professionista nel settore della comunicazione culturale
Astrid D’Eredità è una archeologa esperta di social media marketing per la promozione del patrimonio culturale. Ha fondato la community online ArcheoPop e disegna strategie di comunicazione digitale per musei e progetti culturali come MuseumWeek (di cui è Assistant Area Coordinator for Europe, Central and West Africa) e F@Mu Giornata delle Famiglie al Museo. Attulamente è collaboratrice dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro del MiBACT, ed è docente selezionata da Facebook Inc. per l’edizione italiana del progetto internazionale #SheMeansBusiness e inoltre curatrice del volume “Archeosocial. L’archeologia riscrive il web: esperienze, strategie e buone pratiche.” La value proposition di Astrid D’Eredità si sostanzia nella raccolta e semplificazione di contenuti culturali, nonché sulla divulgazione e comunicazione degli stessi al grande pubblico attraverso i media tradizionali e/o digitali. Il servizio è caratterizzato da: i) elevata efficacia, intesa come ampia copertura del pubblico potenzialmente interessato e adeguatezza/rispondenza del contenuto della pubblicazione; e ii) alto impatto delle pubblicazioni, inteso come frequenza e numero di condivisioni e/o like nei social, alto tasso di conversione delle visualizzazioni in visite alla fonte originaria, tempestività e accuratezza della pubblicazione. Tali attributi del servizio sono frutto di competenze distintive sviluppate in anni di esperienza, pratica e studi condotti. In particolare, i contenuti originali e inediti presentano la notizia integrando il punto di vista del professionista. La D’Eredità, infatti, svolge la professione di digital media curator muovendo da un background culturale solido, risultato di studi accademici e specialistici. Non si approccia all’archeologia con la prospettiva del social media manager o del blogger. Tale diversa impostazione conferisce maggiore autorevolezza al contenuto proposto e alla professionista consentendole di utilizzare un linguaggio semplice, chiaro e a volte anche divertente. Il taglio editoriale, l’aggiornamento frequente dei contenuti, la tempestività nella pubblicazione, l’unicità del contenuto, l’ampia copertura delle pubblicazioni (geografica e tematica) e la capacità di approfondimento rappresentano fattori critici di successo della proposta di valore di un professionista nel settore della comunicazione dei beni culturali. In figura 6 è presentato il modello di business di un digital media curator.
Le attività associate alla proposta di valore offerta dalla D’Eredità sono prevalentemente di carattere editoriale, sono quindi orientate alla cura e selezione dei contenuti da finalizzare in pubblicazioni attraverso il magazine archeopop o attraverso i profili social personali o dei clienti per cui essa è consulente. Rilevante è l’attività di approfondimento sulle mostre e l’aggiornamento del calendario di Archeoventi che accoglie e lista le iniziative legate all’archeologia. Non secondaria è l’attività di ricerca di contenuti scientificamente rilevanti e conseguente divulgazione al grande pubblico. Nello svolgere queste attività risulta primaria la dotazione di alcune risorse quali la c.d. social community (nelle piattaforme Facebook, Twitter e Instagram), le attrezzature informatiche affidabili ed un vasto portafoglio contatti grazie al quale reperire contenuti e verso cui veicolarne altri. Inoltre, per il modello di business in esame, sono risorse primarie intangibili le competenze professionali, i software per trattare i contenuti testuali e le immagini. A queste si aggiungono alcune risorse derivate: un alto livello di user experience derivante dalla fruizione del sito e “l’immagine aziendale” come sintesi della qualità del servizio reso ai clienti.
I segmenti di clientela cui la proposta di valore è indirizzata sono per lo più le amministrazioni pubbliche, i musei civici, le associazioni culturali, le fondazioni e gli enti locali. Con essi i rapporti sono di carattere formale/istituzionale. Le relazioni dirette invece sono alla base delle attività di networking, durante gli eventi culturali e le mostre. Attraverso questa attività è infatti possibile ampliare il portafoglio contatti acquisendo nuovi potenziali clienti e/o collaborazioni. Partner chiave del modello di business sono rappresentati dagli uffici stampa delle istituzioni/enti quali le Soprintendenze per i BB.CC., i musei nazionali e civici e infine il network professionale degli archeologi. I partner rappresentano i principali stakeholder coinvolti nel processo di creazione del valore e, in particolar modo, quelli essenziali per lo svolgimento delle attività d’impresa. Essi possono fungere da fornitori (in questo caso di notizie o inviti ad eventi), da partner in senso stretto (collaborazioni, pubblicazioni, partecipazione a grandi eventi con colleghi/competitor), o da (potenziali) clienti. Nel modello di business della D’Eredità è cruciale intrattenere rapporti con il vasto bacino di partner.
L’impiego delle risorse chiave genera costi, originati prevalentemente dalla gestione del sito web (costi per hosting e oneri figurativi per i servizi redazionali), dalla promozione di contenuti sponsorizzati sui social (Facebook Ads) e dall’acquisto/uso dei software e delle attrezzature informatiche. I ricavi invece provengono dalle attività di consulenza in essere e dai proventi derivanti dal sistema Google AdSense basato sul classico sistema pay per click/pay per impression relativo alle inserzioni presenti sul sito.
L’analisidel business model di Astrid D’Eredità evidenzia come le competenze di un archeologo costituiscano una risorsa essenziale nel settore della comunicazione dei beni culturali, consentendo al professionista di sviluppare una offerta commerciale che possa non solo soddisfare il bisogno di divulgazione e informazione espresso dai clienti, ma anche la capacità di veicolare informazioni di natura archeologica verso il grande pubblico e gli specialisti di settore. Tale capacità richiede autorevolezza e competenza sia nel trattare le notizie che nel disegnare una strategia di comunicazione efficace per i beni culturali.
Strumenti finanziari a supporto della ricerca per la tutela, la valorizzazione e promozione del patrimonio culturale (F.P.)
Il settore culturale è stato riconosciuto dall’Unione Europea come rilevante per lo sviluppo sociale in differenti documenti chiave di politica[17]. Di fatto, la promozione e la valorizzazione del patrimonio culturale, attraverso il miglioramento della conoscenza, la diffusione della cultura, i processi di conservazione e di salvaguardia del patrimonio culturale e della ricerca, è sempre stato tra gli obiettivi principali dell’Europa e dei suoi Stati membri. Dai trattati emerge come «la cultura sia un mezzo di espressione e d’identità svolgendo un ruolo importante per lo sviluppo di una società coerente e tollerante»[18] (Pasikowska-Schnass, 2018). Questa affermazione, valida per qualsiasi territorio, dovrebbe assumere una rilevanza maggiore per l’Italia, conosciuta proprio per il suo patrimonio culturale, tra i più ampi a livello mondiale[19]. Tuttavia, in Italia, le professioni che operano all’interno del settore culturale vivono tempi di crisi che affonda le proprie radici nelle caratteristiche del sistema finanziario europeo del settore culturale e creativo. Infatti, come evidenziato dallo studio Survey on access to finance for cultural and creative sectors[20] (De Voldere, et al., 2013), le difficolta di accesso ai finanziamenti a favore degli istituti di ricerca e degli imprenditori culturali costituiscono un ostacolo fondamentale per lo sviluppo del settore[21]. A ciò si aggiungono le politiche nazionali che negli ultimi decenni hanno alimentato una “certa visione” antieconomica dei beni culturali, enfatizzandola come una caratteristica intrinseca del bene stesso. La diffusione di questa concezione ha avuto non poche implicazioni sulle politiche di sviluppo delle professioni che operano all’interno del settore e che sono linfa vitale del nostro patrimonio culturale. Oggi è quanto mai opportuno riflettere sulle potenzialità offerte dal patrimonio culturale e rivedere le strategie per il settore, seguendo una logica diametralmente opposta a quella in uso sinora.
A questo scopo, nelle pagine che seguono si fornisce una breve classificazione – che non ha pretesa di esaustività – delle opportunità di finanziamento, pubbliche e private alle quali l’archeologo può attingere, in relazione agli obiettivi professionali e di ricerca o all’idea di business che intende sviluppare. Inizialmente, verranno individuate caratteristiche e peculiarità del modello finanziario in uso per il supporto dei progetti di ricerca per la tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale; successivamente, saranno illustrate e discusse le strategie europee e le opportunità di finanziamento per l’avanzamento della ricerca nel settore dei beni e delle attività culturali del programma quadro H2020 ed Europa Creativa; inoltre saranno analizzati gli aspetti relativi allo Strumento di Garanzia per i Settori Culturali e Creativi e i risultati raggiunti dallo stesso per il periodo 2016-2018; infine, verranno presentati alcuni strumenti finanziari innovativi che si stanno diffondendo in Europa, per la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale.
Il sostegno finanziario alle attività di ricerca e innovazione per la tutela, la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale: considerazioni preliminari
Oggi si ha ancora poca consapevolezza del fatto che il patrimonio culturale sia in grado di alimentare il tessuto produttivo e imprenditoriale di un territorio[22] (Lo Mauro, 2015), nonostante la relazione tra cultura ed economia ha mostrato vantaggi diretti e indiretti nel settore dei beni e delle attività culturali. La diffusione della conoscenza genera un innalzamento generale del livello culturale e conseguentemente aumenta la «capacità di innovazione del sistema sociale, con ricadute positive sull’intero sistema economico. Si tratta di benefici difficilmente quantificabili, ma certo tutt’altro che trascurabili»[23] (De Luca, et al., 2008).
In Italia, il sostegno finanziario per le attività di ricerca, nel settore dei beni e delle attività culturali, adotta un modello misto derivante dall’intervento pubblico e privato[24]. L’adozione del modello misto è giustificata dal fatto che il patrimonio culturale appartiene in larga parte allo Stato e agli Enti Locali. Da questi soggetti dipendono la gestione, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale. Inoltre, agli organi di governo centrale e periferico compete l’elaborazione delle politiche per supportare le attività di ricerca volte alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali che difficilmente potrebbero essere finanziate con il solo sostegno privato; motivo per il quale il settore pubblico eroga a favore della cultura una quantità ingente di risorse[25] (Beretta, et al., 2012). L’intervento pubblico, infine, garantisce soluzioni specifiche per la tutela di siti o aree archeologiche che mostrano determinate peculiarità o che non sono in grado di sostenersi economicamente e autofinanziarsi, ma che meritano di essere valorizzate e promosse.
Il sostegno privato indica qualsiasi altra forma di finanziamento, effettuata tramite investimenti, donazioni o spese a livello individuale da parte di soggetti privati, imprese o organizzazioni non pubbliche. Il finanziamento privato a sostegno del settore dei beni e delle attività culturali è poco sviluppato e presenta diverse imperfezioni, concentrandosi prevalentemente su programmi artistici convenzionali e su organizzazioni culturali prestigiose[26] (Čopič, et al., 2011). Inoltre, il supporto finanziario privato non riesce a minimizzare i rischi di investimento nel settore, ma può essere fattore abilitante per spingere sul mercato soluzioni innovative, attraverso appositi programmi che facilitino l’adozione delle più moderne tecnologie, il trasferimento tecnologico e la creazione di reti scientifiche per la validazione di idee, prodotti e servizi nel mercato di riferimento.
Il sistema misto di finanziamento sembra poter essere un modello idoneo alla creazione di un sentiero di sviluppo. Se il supporto pubblico fornisce una base solida per la stabilità del settore e la promozione delle attività di ricerca, tutela e valorizzazione, il finanziamento privato sostiene lo sviluppo di idee innovative frutto degli sforzi della ricerca favorendo un percorso di crescita basato sull’economia della conoscenza. Pertanto, l’adozione del modello misto pubblico/privato potrebbe attenuare «i rischi intrinseci ad entrambe le forme di sostegno»[27] (Trupiano, 2015).
La politica nazionale degli ultimi anni non ha definito una strategia efficiente e specifica per sostenere la ricerca e l’innovazione, in un settore dove gli altri stati membri dell’Unione europea, a dispetto del loro meno rilevante patrimonio, stanno già avanzando. Tutela, valorizzazione, promozione non significano mantenimento dello status quo o semplice fruibilità del patrimonio. Al contrario è necessario sviluppare e applicare metodi per riconoscere un’identità a questo patrimonio, rendendolo attrattivo, attraverso gli investimenti in grado di abilitare percorsi innovativi di sviluppo, di ricerca e di promozione. Ciò si traduce in un percorso che ponga al centro le professioni, quale vettore abilitante di sviluppo e progresso, le tecnologie come elemento innovativo e le reti di comunità come elemento di progresso sociale. Su questo aspetto l’Europa è in ritardo. Infatti, è del 2018 il rapporto Innovation & Cultural Heritage[28] (Tanja, 2018) con il quale la Commissione Europea effettua la policy review relativa alla precedente programmazione e introduce i necessari correttivi. Solo adesso, purtroppo, si coglie la necessità di definire politiche e programmi di finanziamento specifici per la tutela, la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale, programmi che riescano a trasformare le modalità di fruizione del patrimonio attraverso l’implementazione delle c.d. cutting-edge technologies che possano dare al settore la spinta di cui necessita.
Definire un nuovo sentiero di sviluppo è possibile. Come sottolinea Lo Mauro (2015), attraverso una corretta pianificazione strategica[29], il sostegno finanziario alla ricerca, lo sviluppo di soluzioni innovative e il coinvolgimento delle comunità, sarà possibile rinvigorire il nostro patrimonio dando degno valore alle professioni.
Nuova visione e orientamento strategico europeo per la ricerca e l’innovazione nel patrimonio culturale
Nell’anno Europeo del Patrimonio Culturale, l’orientamento strategico dell’Unione relativo alla tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale è cambiato. Negli ultimi anni i ministri della cultura dei paesi membri dell’Unione Europea hanno messo in evidenza come fosse opportuno considerare il patrimonio culturale quale elemento specifico per dare spinta a un nuovo sentiero di crescita per l’industria dei beni e delle attività culturali[30]. Suggerendo un processo di contaminazione tra i vari settori che spinga verso l’adozione di tecnologie digitali e nuove competenze interdisciplinari sarà possibile attuare forme innovative di valorizzazione del patrimonio culturale. A riguardo è stato avviato un dibattito che vuole rimediare agli errori commessi nella definizione della priorità della precedente programmazione, attraverso una policy review[31]. Da questo dibattito – tutt’ora in corso –, sta emergendo che il futuro della ricerca in Europa necessita di un’agenda che adotti una visione critica e olistica, rispetto alle tematiche di ricerca per la valorizzazione del patrimonio culturale, e un approccio inclusivo e interdisciplinare. È stata sottolineata l’importanza di un approccio bottom-up nella definizione delle tematiche di ricerca. Piuttosto che imporre, con un approccio top-down e piramidale la scelta delle tematiche di ricerca, l’Unione europea incoraggia i ricercatori nel concentrare i loro sforzi su temi connessi ai problemi specifici del territorio, dove il patrimonio culturale risiede. La scelta di creare nuovi partenariati – ad esempio, tra le scienze sociali e le altre scienze, tra i professionisti del settore e le comunità locali – potrebbe spingere la ricerca verso sentieri di eccellenza, capaci di generare maggior valore. È stato riconosciuto inoltre, come nella prossima programmazione il budget previsto per le attività di ricerca per il patrimonio culturale necessiti un incremento urgente. Ancora, nel prossimo programma quadro per la ricerca e l’innovazione verrà esplicitamente menzionato il patrimonio culturale tra i cluster tematici.
Per rispondere alle sfide comuni, tra cui il passaggio al digitale e l’innovazione come elemento propulsore per il settore dei beni e delle attività culturali, le più recenti priorità strategiche europee intendono tutelare il patrimonio culturale, sfruttando anche il contributo delle industrie culturali e creative, a vantaggio dell’occupazione e della crescita. Infatti, creatività e innovazione sono diventate due dimensioni fondamentali ed essenziali per la prosperità economica del settore dei beni e delle attività culturali.
In questo contesto, il ruolo della pianificazione strategica a più livelli è cruciale per aiutare gli stati membri dell’Unione Europea nell’affrontare sfide comuni, come la necessità di sostenere le potenzialità di innovazione per la valorizzazione del patrimonio culturale e il governo di nuovi modelli di gestione della cultura. I singoli stati membri sono responsabili dell’applicazione delle politiche[32] definite in sede europea e a tal fine devono farsi carico di sviluppare creatività e innovazione alimentando un circolo virtuoso, identificando una direzione che possa sviluppare una riflessione sul presente che sia fonte di ispirazione per la creazione di nuovi modelli. Nel mettere a frutto il potenziale della ricerca sul patrimonio culturale, sono decisive sia le risorse impegnate per la valorizzazione del patrimonio culturale e le priorità a queste associate.
Strumenti di finanziamento pubblici per le attività di ricerca e innovazione per la tutela, la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale
Attualmente il sostegno finanziario, per il settore dei beni e delle attività culturali, si basa «su un pluralismo delle fonti di finanziamento, sia a livello nazionale che europeo»[33] (Belvisi, 2015).
Nel quadro delle fonti di finanziamento l’Europa mette a disposizione diverse opportunità che vengono classificate in programmi a gestione diretta e concorrente. I primi sono gestiti direttamente dall’Unione, attraverso le Direzioni Generali o Agenzie, ai quali il beneficiario può avanzare la propria project proposal. La peculiarità dei programmi richiede ai potenziali proponenti uno sforzo in ottica transnazionale oltre che multidisciplinare. Infatti, è normalmente opportuno coinvolgere partner con competenze diverse, appartenenti a paesi membri dell’Unione e dimostrare che il progetto possiede tutte le potenzialità per produrre un impatto in una vasta area geografica.
I programmi a gestione concorrente sono gestiti dalle autorità nazionali e regionali, finanziati dai cosiddetti “fondi strutturali e d’investimento”, ovvero fondi che operano congiuntamente a supporto dello sviluppo economico di tutti i paesi dell’Unione in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020, principalmente il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale europeo (FSE). La varietà di programmi per il sostegno di attività di ricerca sul patrimonio culturale, riflette gli obiettivi di trasversalità e interdisciplinarietà che l’Unione Europea vuole raggiungere attraverso l’impiego di diverse risorse, competenze e tecnologie utilizzate per valorizzare il patrimonio culturale e garantire maggiore sostenibilità al settore.
Tra le opportunità di finanziamento relative alle attività di tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale, assume un ruolo rilevante il programma quadro per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020[34]. Il supporto finanziario per le attività di ricerca per la tutela, valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale è presente in tutti e tre i pilastri del programma quadro[35] (European Commission, 2017):
- Excellent science;
- Industrial Leadership;
- Societal challenghes;
Excellent science intende elevare il livello di eccellenza delle attività di ricerca scientifica e garantire una produzione costante di ricerca a livello mondiale per assicurare la competitività dell’Europa a lungo termine. Tra i programmi Excellent science è possibile individuare:
- Sovvenzioni per la ricerca di frontiera in tutti i campi scientifici (compreso il patrimonio culturale) presso lo European Research Council;
- Marie-Sklodowska Curie Grants per la mobilità internazionale dei ricercatori e la cooperazione in tutti i settori scientifici (compresi i beni culturali).
Attualmente il nuovo work programme 2018-2020[36] mette a disposizione dei ricercatori numerose opportunità[37] per migliorare le proprie competenze e confrontarsi con un contesto geografico più ampio e in continua crescita. In particolare, il programma mette a disposizione borse di studio individuali, programmi di scambio per attività di ricerca e co-finanziamenti per programmi di ricerca a livello internazionale, nazionale e regionale.
Tra le call più rilevanti:
- MSCA-ITN-2018: Innovative Training Networks ha l’obiettivo di formare una nuova generazione di imprenditori creativi e di ricercatori innovativi, in grado di affrontare le sfide attuali e future e di convertire conoscenze e idee in prodotti e servizi per aumentare i benefici economici e sociali.
- MSCA-IF-2018: Individual Fellowships ha l’obiettivo di migliorare la creatività e il potenziale innovativo di ricercatori professionisti, che mirano a diversificare le loro competenze, attraverso programmi di formazione avanzata.
- MSCA-RISE-2018: Research and Innovation Staff Exchange vuole promuovere la collaborazione internazionale attraverso lo scambio di personale della ricerca e la condivisione di conoscenze e di idee che dalla ricerca siano in grado di raggiungere i mercati.
- MSCA-COFUND-2018: Co-funding of regional, national and international programmes ha l’obiettivo di stimolare la dimensione regionale, nazionale e internazionale attraverso programmi di formazione di eccellenza dei ricercatori che accrescano lo sviluppo della loro carriera e favoriscano la mobilità per diffondere le best practices delle azioni Marie Sklodowska-Curie.
L’obiettivo strategico del secondo pilastro, IndustrialLeadership, vuole rendere l’Europa più competitiva, fornendo sostegno mirato alla ricerca e allo sviluppo nell’ICT, Nanotecnologie, Materiali avanzati, Biotecnologie, Fabbricazione e Trasformazione avanzata e Tecnologia Spaziale.
Tra i sottoprogrammi IndustrialLeadership è possibile individuare all’interno del work programme 2018-2020 “5.i. Information and Communication Technologies” la call:
- ICT-25-2018-2020: Interactive Technologies ha l’obiettivo di adottare soluzioni, in tutti i settori, basati sulle tecnologie interattive come la realtà aumentata (AR) e virtuale (VR) trasformando i modi in cui le persone comunicano, interagiscono e condividono le informazioni. Questa call mira ad abilitare l’adozione delle soluzioni sopracitate all’interno di svariati settori dai beni culturali, al manifatturiero, al settore sanitario, alla robotica, media e intrattenimento, abilitando nuove opportunità di business.
Il pillar Societal challenges rispecchia le priorità strategiche della Strategia Europa 2020, salute, energia, sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile e azioni inclusive e innovative. Tra i suoi sottoprogrammi, due importanti azioni per il finanziamento delle attività di ricerca per la tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale.
L’azione Societal challenge 5 (SC5) “Climate action, environment, resource efficiency and raw materials”, finanzia la ricerca e l’innovazione orientate al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
- il cambiamento climatico e un utilizzo efficiente delle risorse naturali;
- la tutela e la gestione sostenibile delle risorse naturali e degli ecosistemi;
- l’approvvigionamento ed un uso sostenibile delle materie prime.
Nel work programme 2018-2020, la SC5, si sforza di attuare uno degli obiettivi delineati dall’Europa relativi allo sviluppo sostenibile “Città e comunità sostenibili”, rafforzando gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo. Particolare enfasi è posta sulla ricerca e l’innovazione multidisciplinare per la valorizzazione del patrimonio culturale, considerata risorsa fondamentale per migliorare gli ambienti urbani e rurali e affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici, attraverso metodologie, prodotti e servizi innovativi, con due call:
- SC5-19-2018: International network to promote cultural heritage innovation and Diplomacy mette a frutto competenze, pratiche, abilità e tecnologie per proteggere, conservare, gestire, migliorare e valorizzare il suo ricco e variegato patrimonio culturale europeo.
- SC5-20-2019: Transforming historic urban areas and/or cultural landscapes into hubs of entrepreneurship and social and cultural integration ha l’obiettivo di definire approcci e soluzioni per riattivare e rigenerare aree urbane storiche e/o paesaggi culturali, promuovendo l’innovazione da parte di start-up, industrie culturali e creative rilevanti, del settore delle tecnologie digitali. Le soluzioni dovrebbero essere co-create, co-gestite e co-implementate nel più ampio contesto di sviluppo urbano e regionale, coinvolgendo le comunità locali, centri di ricerca, autorità competenti, innovatori, università, movimenti dei city-makers.
Obiettivo specifico dell’azione Societal challenge 6 (SC6) è sostenere una maggiore comprensione dell’Europa, promuovere soluzioni e supportare le società inclusive, innovative e riflessive, come:
- il rafforzamento della base di conoscenze e delle misure a sostegno dell’Unione dell’innovazione e dello Spazio europeo della Ricerca (SER)
- esplorare nuove forme di innovazione, che includano l’innovazione e la creatività sociale;
- garantire la partecipazione della società alla ricerca e all’innovazione;
- promuovere una collaborazione coerente ed efficace con i paesi terzi.
La Societal challenge 6 “Europe in a changing world: Inclusive, Innovative and Reflective Societies” per il biennio 2018-2020, si concentra principalmente sulla valorizzazione e promozione del patrimonio culturale europeo, attraverso la formazione dell’identità, l’inclusione sociale e l’adozione di tecnologie digitali. In particolare, tale challenge mira a attuare i propri obiettivi con le seguenti call:
- TRANSFORMATIONS-04-2019-2020: Innovative approaches to urban and regional development through cultural tourism mira a valutare l’efficacia e la sostenibilità di strategie, tendenze, innovazioni e pratiche multilivello nell’attirare, gestire e diversificare turismo culturale in Europa, per identificare le migliori pratiche di governo.
- TRANSFORMATIONS-06-2018: Inclusive and sustainable growth through cultural and creative industries and the arts ha l’obiettivo di esplorare i fattori che abilitano il successo del settore culturale e creativo, considerando i modelli di business, le strategie resilienti e le soluzioni innovative per promuovere l’occupazione e la crescita sostenibile nel settore, le loro interazioni con la ricerca e i processi di sviluppo.
- DT-TRANSFORMATIONS-11-2019: Collaborative approaches to cultural heritage for social cohesion ha l’obiettivo diricercare nuove applicazioni e strumenti che consentano un approccio più inclusivo nella fruizione del patrimonio culturale, coinvolgendo diversi gruppi o comunità a rischio di esclusione.
- DT-TRANSFORMATIONS-12-2018-2020: Curation of digital assets and advanced Digitisation vuole affrontare la cura e la conservazione delle risorse attraverso le tecnologie digitali, identificando nuove tecnologie e metodi che consentano, l’arricchimento dell’esperienza di fruizione con narrazioni e collegamenti virtuali a siti fisicamente separati e del patrimonio immateriale.
- TRANSFORMATIONS-16-2019: Social platform on the impact assessment and the quality of interventions in European historical environment and cultural heritage sites ha l’obiettivo di riunire le comunità di ricerca, i professionisti del patrimonio culturale, attori pubblici e privati, nonché responsabili politici a livello locale, regionale, nazionale e internazionale per valutare l’impatto e la qualità degli interventi in ambiente storico e siti del patrimonio culturale in Europa. Inoltre, la call intende mappare i problemi esistenti, emergenti, le pratiche e le lacune politiche relative alla valutazione dell’impatto e alla qualità degli interventi in ambiente storico e sui siti del patrimonio culturale in Europa.
Tra i programmi a gestione concorrente, dedicato ai settori culturali e creativi, per il periodo 2014-2020, sicuramente da menzionare è il programma Europa Creativa a favore della cultura e del settore audiovisivo.
Il programma Europa Creativa è formato dai due sotto-programmi CULTURA e MEDIA che intendono supportare:
- iniziative del settore culturale, come la cooperazione transfrontaliera, piattaforme, networking e traduzioni letterarie;
- sviluppo, promozione, distribuzione di opere creative di respiro internazionale e iniziative di networking e di formazione per i professionisti dell’industria audiovisiva;
- uno stand transettoriale, che include anche un fondo di garanzia per le industrie culturali e creative attivo dal 2016.
Il sottoprogramma CULTURA, prevede un approccio multidisciplinare[38] (Trupiano, 2015) e copre tutte le discipline del settore culturale e creativo ad eccezione dell’audiovisivo (nei progetti possono essere incluse attività del settore audiovisivo solo se di supporto a quelle del settore culturale)[39]. Le tematiche che possono essere finanziate riguardano le performing arts, le arti visive, il design e le arti applicate, la letteratura e l’architettura e il patrimonio culturale.
Strumento di Garanzia per i Settori Culturali e Creativi
Nel contesto dell’accesso limitato ai finanziamenti per i settori culturali e creativi, il programma Europa Creativa (2014-2020) ha destinato 121 milioni di euro come meccanismo finanziario che funga da assicurazione per gli intermediari finanziari (ad esempio le banche) che offrono finanziamenti a supporto di iniziative nei settori creativi e culturali[40]. Lo strumento di garanzia per i settori culturali e creativi, gestito dal Fondo Europeo per gli Investimenti (EFI), è operativo dal 2016, con l’obiettivo di facilitare l’accesso al credito per le piccole e medie imprese del settore; il sostegno a studi, analisi, raccolta dati e progetti sperimentali per promuovere la cooperazione politica transazionale. Il Fondo di garanzia risponde direttamente al corrente bisogno dei settori culturali e creativi. Per le PMI che operano nel settore è difficile accedere ai prestiti a causa della natura immateriale delle loro attività, le dimensioni ridotte del mercato e l’incertezza della domanda[41]. Lo strumento di garanzia è stato studiato per le piccole e medie imprese attive nei settori culturali e creativi nei paesi dell’Europa, in Islanda e in Norvegia. Le attività di tali settori sono basate su valori culturali e/o espressioni artistiche e creative, indipendentemente dal fatto che tali attività siano orientate al mercato o non orientate al mercato e indipendentemente dal tipo di struttura legale[42]. Le attività comprendono la creazione, la produzione, la diffusione e la conservazione di beni e servizi che incarnano espressioni culturali, artistiche o creative. I settori includono architettura, archivi e biblioteche, artigianato artistico, audiovisivi (tra cui film, televisione, videogiochi e multimedia), beni culturali, design, festival, musica, arti dello spettacolo, editoria, radio e arti visive. Per applicare, le aziende del settore culturale e creativo devono contattare gli intermediari finanziari selezionati per ciascun paese.
Lo strumento lanciato nel 2016 avrebbe dovuto coinvolgere gradualmente gli intermediari finanziari in tutti i paesi dell’Europa. Nel 2017, gli intermediari finanziari che hanno concluso un accordo di garanzia con il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) sono stati:
- la Compañía Española de Reafianzamiento, un ente pubblico di investimento pubblico spagnolo,
- Bpifrance, banca d’investimento pubblica francese;
- Libra Internet Bank, banca d’investimento rumena;
Per il 2018 l’incremento è nullo considerati i nuovi accordi del FEI con:
- Participatiefonds Vlaanderen (Belgio);
- Start SA (Belgio);
- Komercni Banka a.s (Repubblica ceca)
- Institut pour le Financement du Cinema et des Industries – IFCIC (Francia)[43];
Rispetto alle aspettative lo strumento non si è mostrato all’altezza delle stesse, le garanzie prestate per il sostegno dei progetti in ambito culturale e creativo ammontano a poco più di 400 (vedi figura 7).
Dalla figura 7 si può notare che il paese che usufruisce maggiormente dello Strumento di Garanzia per i Settori Culturali e Creativi è la Spagna con 362 progetti, segue la Francia con 31 progetti. L’Italia con 1 progetto è ultima dopo Belgio, Romania, Lussemburgo e Repubblica Ceca. Questi dati sono indice di come lo Strumento di Garanzia per i Settori Culturali e Creativi, fatichi a raggiungere gli obiettivi per il quale era stato progettato. Lo strumento è comunque operativo ed è possibile applicare presentando la propria proposta progettuale ad uno degli intermediari finanziari coinvolti.
Il sistema di garanzia è gestito dal Fondo europeo per gli investimenti (parte del gruppo della Banca europea per gli investimenti), per conto della Commissione europea[44] e sarà operativo fino al 30 settembre 2020[45].
Strumenti di finanziamento privati per la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale
Nell’ambito del finanziamento per le attività di ricerca a sostegno della tutela, la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale, esistono altri strumenti di finanziamento. L’intervento privato, oltre alle usuali modalità di sostegno come donazioni, patrocini e sponsorizzazioni[46] (Klamer, et al., 2006) può intervenire con appositi strumenti quali: Venture Philantrophy e il Crowdfunding. Per Venture Philantrophy si intende l’applicazione di alcune pratiche tipiche del Venture Capital al settore non-profit per la realizzazione di progetti di utilità sociale, da parte di investitori, mecenati, fondazioni, società di private equity, istituzioni accademiche e imprenditori. Nata negli Stati Uniti negli anni 90 si è poi sviluppata nel Regno Unito nel 2002 e adesso è una delle pratiche di sostegno al settore sociale che si sta diffondendo in Europa. La Venture Philanthropy (VP) ha il potenziale per contribuire allo sviluppo di un mercato dei capitali più reattivo e diversificato fornendo alle organizzazioni che operano nel settore sociale una visione di investimento a lungo termine e un supporto pratico. Il focus della VP è la costruzione delle capacità organizzative e imprenditoriali attraverso un impegno e un supporto continuo nella definizione del modello di business.
Rispetto alla tradizionale attività filantropica, caratterizzata da donazioni a breve termine e di modesta entità, i criteri di selezione dei progetti sono più stringenti, essendo prevista una strategia di investimento completa. In primo luogo, l’organizzazione in cui investire è selezionata in base all’efficienza del progetto e alla disponibilità a realizzare uno scambio di competenze tra i finanziatori e i promotori dello stesso. Infatti, il supporto fornito dai finanziatori non è solo economico, ma si declina anche in termini di competenze organizzative, counselling tecnologico, ovvero servizi non finanziari ad elevato valore aggiunto. Infine, l’approccio è di medio-lungo periodo come nel caso del Venture Capital tradizionale e il piano d’investimento include la pianificazione di un’attenta strategia.
I criteri di investimento conciliano quindi i ritorni in ambito finanziario con gli aspetti sociali mutuati dall’ambito filantropico, in una visione di business integrata e finalizzata al raggiungimento di risultati economici e sociali[47] (John, 2006). In Italia è poco sviluppato ma vi sono molte Fondazioni bancarie che stanno guardando al settore dei beni culturali tra i pochi esempi[48]: Fondazione Dynamo, Fondazione Oltre, Fondazione Oliver Twist e Fondazione CRT. Per Crowdfunding (CF) si intende un processo di finanziamento collettivo, tramite il quale più persone erogano un contributo economico di varia entità per un progetto o per un’iniziativa di cui si fanno sostenitori. Si distingue dal fundraising per le caratteristiche di partecipazione attiva, trasparenza (dal momento che si sviluppa prevalentemente sul web) e ricompensa che si riceve in cambio. Il potenziale del CF sta nella capacità di far leva sulla comunità di investitori.
Esistono quattro diversi modelli di piattaforma di CF:
- reward-based, in cui i soggetti che decidono di elargire una donazione per la realizzazione di un progetto ricevono in cambio una ricompensa o un premio, sia materiale, sia intangibile.
- equity-based, basate sui tipici modelli di investimento azionario. Si definisce una cifra target di riferimento che viene poi divisa in parti uguali, offerte come azioni a un prezzo determinato;
- lending-based, ovvero forme di prestito motivate da incentivi filantropici o di sponsorizzazione, da privati verso privati o verso imprese. Le somme sono restituite a un tasso di interesse più conveniente rispetto al prestito tradizionale;
- donation-based, ovvero donazioni per motivi filantropici.
Il promotore di un progetto definisce le caratteristiche dello sviluppo della propria idea e sceglie il tipo di piattaforma tramite cui raccogliere fondi. In accordo con la stessa, si definiscono poi l’importo target che si vuole raggiungere e l’orizzonte temporale di riferimento. La piattaforma agisce dunque da intermediario, raccogliendo i fondi e distribuendoli al proponente, trattenendo una provvigione o una quota variabile del denaro raccolto.
Conclusioni
Il settore della cultura in Italia è fonte di sviluppo per l’intera economia. La cultura e la creatività offrono non solo opportunità economiche agli addetti ai lavori, ma anche ai settori contigui (es. turismo, design, trasporti, accoglienza, food) grazie alle esternalità positive che sono in grado di generare. All’interno del variegato sistema culturale, l’archeologo è chiamato ad esercitare la sua professione come lavoratore dipendente e/o consulente professionale all’interno delle organizzazioni pubbliche o come socio o collaboratore delle organizzazioni private. Come atteso, numerose evidenze attestano che esistono notevoli differenze tra i due mondi. Il lavoro alle dipendenze pubbliche è caratterizzato da tre parole chiave: stabilità, responsabilità e durata. Il settore privato è invece segnato dalla presenza – sembrerebbe ineluttabile – dei contratti di collaborazione per attività di sorveglianza. Le aziende che si occupano di archeologia, molto spesso cooperative di piccole dimensioni, registrano modesti fatturati, lavorano con bassi margini di guadagno e hanno poca liquidità. Questa condizione cronica impedisce l’ampliamento della “capacità produttiva” – ad esempio attraverso l’assunzione di risorse umane e l’acquisizione di attrezzature – e lo sviluppo delle attività. Le cause sembrerebbero essere riconducibili ad alcuni fattori. In primis il criterio del massimo ribasso che predomina l’affidamento dei lavori di sorveglianza archeologica commissionati da aziende edili; in secondo luogo i lunghi tempi di pagamento che caratterizzano le committenze pubbliche; in terzo luogo, una concentrazione del mercato dei servizi per i beni culturali (es, servizi per i musei e per siti archeologici) in mano ad alcuni grandi player di carattere nazionale; in ultimo una bassa capacità di predisporre progetti, attrarre risorse e/o collaborazioni internazionali e gestire la spesa di progetti a valere su bandi della commissione europea.
L’erogazione di “servizi per il turismo”, di servizi ad alto contenuto tecnologico (attraverso l’uso delle tecnologie GIS o di modellazione 3D) a supporto della ricerca (es. editoria e publishing) o della didattica (archeologia sperimentale per le scolaresche o per il grande pubblico) sembrano oggi le nuove opportunità di crescita per le cooperative di archeologi.
Il tentativo di inquadrare gli aspetti salienti e le criticità che caratterizzano la professione dell’archeologo presso le organizzazioni pubbliche e private incontra dei limiti di ricerca nella disponibilità di informazioni dettagliate e aggiornate. Tuttavia le considerazioni sviluppate a partire dai dati pubblicati nei rapporti della Confederazioni Italiana Archeologi (cfr. Disco 2014), trovano conferma – almeno per quanto attiene alle organizzazioni private – nella analisi dei tre casi di studio. Quest’ultima ha infatti consentito di esplorare con maggiore profondità e ampiezza i profili economico-aziendali di tre esperienze imprenditoriali nel settore dell’archeologia.
L’analisi del modello di business infatti descrive il contenuto, la struttura ed il modo in cui vengono governati e disegnati i processi di creazione di valore (Zott & Amit, 2010). I modelli di business sono infatti storie che spiegano il funzionamento di una azienda, le sottostanti logiche economiche e il modo in cui l’organizzazione è in grado di trasferire valore ai clienti ad un costo appropriato (Magretta, 2002).
Dalle tre esperienze imprenditoriali discusse nelle sezioni precedenti, la value proposition sembra caratterizzarsi per la qualità del servizio erogato. Quest’ultima a seconda dei casi può essere declinata nei seguenti attributi del servizio reso: tempestività (tempi di consegna delle relazioni nel caso di sorveglianza archeologica); affidabilità/scientificità (accuratezza nella ricostruzione storica e nella lettura del dato archeologico); potenziale didattico (capacità di veicolare contenuti storici a pubblici diversi); stile della comunicazione e ampia copertura (taglio editoriale delle pubblicazioni e varietà dei temi trattati).
Con riferimento al sistema di risorse strategiche impiegate, essenziali per lo sviluppo della proposta di valore risultano essere le competenze e le abilità delle risorse umane che lavorano all’interno dell’organizzazione, le attrezzature e gli spazi utilizzati per lo svolgimento delle attività in cui si sostanzia il servizio ed il portafoglio contatti o il network all’interno del quale è inserita l’azienda.
Le esperienze imprenditoriali discusse in questo lavoro sono guidate da soggetti con una solida base di studi universitari, infatti si tratta di soggetti in possesso di diploma di specializzazione e dottorato di ricerca, o almeno uno dei due titoli. I percorsi imprenditoriali muovono da consapevolezze professionali sviluppate in coda agli anni di formazione post-laurea. In particolare,Archeòtipo nasce come Spin-off universitario sui temi di ricerca sviluppati dal team dell’Università di Siena coordinato dal prof. Marco Valenti. Nel caso di Archeofficina, i soci della cooperativa hanno deciso di valorizzare un set di conoscenze acquisite nelle diverse campagne di scavi svoltesi presso le due catacombe di Palermo e Carini, sotto la responsabilità scientifica della prof.ssa Rosa Maria Carra dell’Università degli Studi di Palermo. La sperimentazione professionale di Astrid D’Eredità nasce invece dalla individuazione di uno spazio di mercato nel panorama dell’informazione e della comunicazione in Italia, nonché dalla percezione di una domanda/bisogno/interesse espressi dal pubblico sul mondo dell’archeologia. Da queste premesse nasce la creazione di un’attività di consulenza dedicata alla diffusione di informazioni scientifiche in ambito archeologico, rielaborate e rese accattivanti per il grande pubblico.
Questi nuovi percorsi imprenditoriali nel settore dell’archeologia dimostrano che sviluppare idee professionali significa – sempre più – sperimentare nuovi percorsi, capitalizzare le esperienze universitarie e lavorare in gruppi con competenze multidisciplinari. In questo senso, è primario per gli archeologi saper sfruttare e utilizzare all’interno del sistema aziendale le continue innovazioni che la tecnologia offre alla ricerca umanistica e, allo stesso tempo, elaborare progetti d’impresa che possano essere supportati dalla programmazione europea e/o nazionale.
A tal riguardo, gli sforzi compiuti dalla Commissione Europea sono stati notevoli. Sono stati istituiti numerosi programmi di finanziamento per le attività di ricerca sulla tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale, stanziando più di 300 milioni di euro per il programma quadro Horizon 2020, finanziando più di 170 progetti su Cultural Heritage a livello internazionale. Inoltre, sebbene lo Strumento di Garanzia per i Settori Culturali e Creativi risulti utile per promuovere l’avanzamento di proposte progettuali a intermediari finanziari, ad oggi risulta poco utilizzato. Allo stesso modo, sono poco diffusi gli strumenti di finanziamento privati quali Venture Philantropy e Crowdfunding.
Nel prossimo work-programme 2018-2020 sembra che la Commissione Europea abbia intenzione di stanziare altri 200 milioni di euro con l’obiettivo di far crescere il settore dei beni culturali sostenendo quella ricerca che adotti nuove tecnologie a servizio del patrimonio culturale. Tra gli obiettivi vi è quello di coinvolgere le comunità, con la finalità di delineare nuovi modelli di sviluppo per valorizzare il patrimonio culturale.
Alla luce dei nuovi orientamenti strategici europei e delle caratteristiche del settore dei beni culturali è di fondamentale importanza definire un modello di business nel quale la conoscenza sia motore di sviluppo imprenditoriale e – più estesamente – possa avere un impatto sulle comunità locali supportandone l’apprendimento, ovvero la propensione a recepire l’innovazione e a trasformarla in sviluppo. Tutto ciò non vuol dire semplice applicazione di metodi e tecniche, ma un uso strumentale delle innovazioni per l’incremento dell’efficacia delle proposte di valore e dell’impatto di quest’ultima sul territorio, come risultato, anche, di una spesa pubblica più produttiva.
Da queste riflessioni emerge con fermezza il ruolo è svolto dal capitale umano. Esso è precursor e target delle strategie di sviluppo per il patrimonio culturale. Tale obiettivo può essere raggiunto solo avviando iniziative che mettano al centro le diverse dimensioni della qualità individuando una direzione di ricerca, di lavoro e di investimento professionale ed economico.
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[1] Cfr. nello stesso volume Volpe, pp. 9-21.
[2] La laurea non fa l’archeologo 1993.
[3] Pochi i concorsi banditi negli anni ’80, tra questi uno riservato al personale interno (bandito ed effettuato nel 1984), e un secondo aperto anche agli esterni (bandito nel 1986, effettuato nel 1987). (FONTE: La laurea non fa l’archeologo,p. 44).
[4] La prima proposta di legge per l’istituzione degli albi degli archeologi, storici dell’arte, archivisti e bibliotecari venne ufficialmente depositata alla Camera Il 12 febbraio 1991 (La Laurea non fa l’archeologo, p. 77).
[5] Numero di assunzioni poi incrementato con l’inclusione non solo dei vincitori ma anche di parte degli idonei in ragione della Legge di Bilancio 2018 (Gazzetta ufficiale del 29 dicembre 2017), che prevede il reclutamento di 200 unità di personale, appartenenti all’Area terza – posizione economica F1, mediante scorrimento delle graduatorie di concorso (art. 1, c. 328 e ssg, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015).
[6] http://www.discovering-archaeologists.eu/
[7] https://www.archeologi-italiani.it/index.php?option=com_content&view=article&id=701&Itemid=362
[8] La mancanza di un tariffario nazionale della professione di archeologo determina, infatti, evidenti asimmetrie nel trattamento economico degli operatori e dei professionisti, che in molti casi degenerano nello sfruttamento e nella mortificazione della professionalità acquisita in anni di studio ed esperienza sul campo.
[9] Come individuato dal rapporto Disco 2014 si fa riferimento a quegli archeologi che hanno dichiarato di vivere parzialmente o totalmente di un reddito proveniente dal settore archeologico
[10] Secondo il REPORT DISCO 2014 le Università italiane formano annualmente 1100-1200 nuovi professionisti all’anno.
[11] Alcuni casi studio sono stati individuati ed analizzati da G. Volpe nel volume Un patrimonio italiano, nel quale viene proposta una selezione eterogenea di casi virtuosi di gestione “dal basso” (Volpe 2016, pp. 87-180).
[12] http://www.massaciuccoliromana.org/
[13] http://www.archeodromopoggibonsi.it/
[14] http://www.catacombedinapoli.it/it
[15] Si fa riferimento a quelle esperienze di comunicazione culturale offline e online, “indipendenti” come Archeostorie e i blog Professione Archeologo e ArcheoPop, oppure quelle più “istituzionali” come il Museo Archeologico “A. Salinas” di Palermo e il Museo Egizio di Torino.
[16] http://www.borsaturismoarcheologico.it/archeostartup/
[17] Nel Trattato sull’Unione Europea e nel il Trattato sul Funzionamento Dell’Unione Europea vengono definiti chiaramente gli obiettivi principali dell’Europa e dei suoi stati membri, tra i quali, la promozione e la valorizzazione del patrimonio culturale, attraverso il miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura, la conservazione e la salvaguardia del patrimonio, favorendo gli scambi culturali non commerciali.
[18] (Pasikowska-Schnass, 2018, pp. 1.)
[19] Il World Heritage List dell’UNESCO (2018) riporta i dati ufficiali relativi alla mappatura del patrimonio culturale. L’Italia è il primo paese membro che annovera tra i suoi luoghi circa il 6% del patrimonio culturale mondiale da salvaguardare, seguita da Cina, Francia e Spagna.
[20] (De Voldere, et al., 2013, pp. 139-142)
[21] EU Commission, Survey on access to finance for cultural and creative sectors. Evaluate the financial gap of different cultural and creative sectors to support the impact assessment of the creative Europe programme, 2013, pp.6-8.
[22] (Lo Mauro, 2015, pp. 119-120.)
[23] (De Luca, et al., 2008, p. 4.)
[24] Domenichini, G., Il finanziamento di beni e attività culturali in Italia: ruolo e tendenze dei suoi principali attori pubblici e privati, 2013, p, 1.
[25] (Beretta, et al., 2012, pp. 128.)
[26] (Čopič, et al., 2011, pp. 8-9.)
[27] (Trupiano, 2015, pp. 7-9)
[28] (Tanja, 2018, pp. 5-7)
[29] (Lo Mauro, 2015, pp. 129)
[30] Sostenere il patrimonio culturale: https://ec.europa.eu/culture/policy/culture-policies/cultural-heritage_it
[31] Cfr. Rapporto della Commissione Europea Innovation & Cultural Heritage Conference Report: https://publications.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/b1a053fd-4ceb-11e8-be1d-01aa75ed71a1/language-en/format-PDF/source-70689249
[32] Cfr. https://ec.europa.eu/culture/policy/strategic-framework_it
[33] (Belvisi, 2015, pp. 81-83)
[34] La dotazione finanziaria del programma quadro Horizon 2020 ammonta a più di 80 miliardi di euro per il periodo 2014-2020.
[35] (European Commission, 2017, pp. 81-90 )
[36] https://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/funding/reference_docs.html#h2020-work-programmes-2018-20
[37] Cfr. http://ec.europa.eu/research/participants/data/ref/h2020/wp/2018-2020/main/h2020-wp1820-msca_en.pdf
[38] (Trupiano, 2015, pp. 105-111)
[39] Cfr. http://cultura.cedesk.beniculturali.it/programma-europa-creativa.aspx?temi
[40] Cfr. https://ec.europa.eu/programmes/creative-europe/cross-sector/guarantee-facility_en
[41] Cfr. http://cultura.cedesk.beniculturali.it/europa-creativa.aspx?fondo_di_garanzia_per_i_settori_culturali_e_creativi
[42] Cfr. https://ec.europa.eu/programmes/creative-europe/sites/creative-europe/files/library/ccs-guarantee-facility_en.pdf
[43]Cfr.http://www.eif.org/what_we_do/guarantees/cultural_creative_sectors_guarantee_facility/ccs_signatures.pdf
[44]Cfr.http://www.eif.org/what_we_do/guarantees/cultural_creative_sectors_guarantee_facility/call/note.htm?lang=-en
[45] Vedi: http://www.eif.org/
[46] (Klamer, et al., 2006, pp. 37-39)
[47] (John, 2006, pp. 11-25)
[48]Cfr.https://www.sbs.ox.ac.uk/sites/default/files/Skoll_Centre/Docs/Venture%20philanthropy%20in%20Europe.pdf