S’io fossi Sindaco del mio paese…
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Questo adagio fa probabilmente il verso al ben più noto «S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo», ma può anche introdurre due questioni che ruotano intorno a dubbi e certezze. Su una di queste vale la pena spendere qualche tempo e qualche lettura. Una è evidente e riguarda l’innata disponibilità del tipo di turno a mettersi nei panni del Sindaco, proponendo – a mezzo di questa di frase – una sua scala delle priorità, del tutto personale e senza dubbi di plausibilità. La seconda riguarda lo scarso o errato uso del congiuntivo. Calma, lo so! In questa frase è al proprio posto, si capisce. È evidente che è al proprio posto perché è altrettanto evidente che a pronunciare la frase non è stato il vero Sindaco, altrimenti non avrebbe detto “s’io fossi”, avrebbe detto direttamente “Io che sono il Sindaco…”.
Inoltre, devo ammetterlo, sarebbe stato sufficiente notare la presenza di quel “fossi”, per capire che a parlare non è un vero Sindaco. Un vero politico, specie se locale, a chilometri 0, se ne guarderebbe bene dall’usare il congiuntivo, troppo complicato, formale, bisogna S E M P L I F I C A R E, dare certezze alla popolazione. A questo scopo è sempre meglio utilizzare l’indicativo, al presente se possibile. Se invece ci trovassimo in un situazione di campagna elettorale è molto probabile che l’aspirante Sindaco avrebbe pronunciato un bel più promettente “Se io sarei il Sindaco…”. A tale frase – almeno in Sicilia – avrebbe fatto seguito una risposta del tipo “…riparerei anche i fossi” (fossi in dialetto siciliano è inteso come plurale di fosso, che però in italiano è fosse), giusto per ricordargli che nella protasi ci va il congiuntivo. Alternativamente, i più giudizialisti potrebbero esprimersi con la seguente “se continua così, a questo gli daranno la condizionale!”
A parte gli orrori che commettono i politici, la maggior parte delle persone che parla italiano non soffre di questi gravi problemi. I dubbi nell’uso del congiuntivo stanno altrove e sono di altra natura. Questo modo verbale pone non infrequenti quesiti a molti di noi, anche se molto istruiti. Un fattore che contribuisce alla loro genesi è la lettura, un altro è la scrittura. L’immagine che segue è tratta da una conversazione dello scorso marzo, e coinvolge dei vecchi amici all’interno di gruppo what’s app. Nel primo messaggio in alto, è posta una domanda sulla “correttezza” dell’uso indicativo in luogo del congiuntivo in una frase specifica, quella qui riportata.
Non si può negare che i cani sono i migliori amici dell'uomo/siano i migliori amici dell'uomo.
A tale frase segue un messaggio di “help” che si riferisce ad un classico dubbio circa l’adeguatezza del congiuntivo e/o dell’opportunità vs. correttezza di utilizzare l’indicativo all’interno di una frase con la quale si sta esprimendo una opinione. La frase proposta, infatti, riflette il convincimento, innegabile per l’autore, che uomo e cane siano/sono legati da un rapporto di amicizia che non ha paragoni.
La stessa immagine mostra anche come le risposte siano tutte concordi nell’affermare che l’uso dell’uno o dell’altro modo verbale sia corretto. In particolare, gli ultimi due messaggi in risposta vanno nella stessa direzione e aggiungono un elemento ulteriore. Uno dice “nel linguaggio informale va bene anche sono”, mentre l’altro riporta “dipende dal registro”. Uno studioso della lingua Italiana a questo punto avrebbe potuto dire: fermi qui “do la soluzione”, ammesso che ci sia una risposta univoca. Tuttavia, questo articolo non intende fornire nessuna soluzione, almeno non nei termini dell’efficacia intesa alla Ruota della Fortuna. Al contrario, l’intento è di riferire questi dubbi alla letteratura per cercare di farsi una (vaga) idea e ad essa rimandare per gli opportuni approfondimenti riguardo ai dubbi ulteriori che emergeranno.
Facciamo un passo indietro. In molti contesti di lavoro la formalità è d’obbligo e non mancano di certo le occasioni in cui dobbiamo scrivere un messaggio/email per informare o chiedere qualcosa a dei colleghi. In certe occasioni si resta per qualche minuto a riflettere se usare o meno il congiuntivo. Ad esempio, se volessi scrivere una email ad un professore universitario conosciuto ad una conferenza, dopo i saluti di rito, già al terzo rigo potrei trovarmi di fronte ad un problema in qualche modo analogo a quello poco sopra evidenziato.
Gentilissimo Prof. ______, spero questa mia email la trovi bene. Ricordo la conversazione che abbiamo avuto a margine della conferenza, pertanto le invio la ricerca di cui le parlai. Credo che un suo commento allo scritto possa fornirmi delle indicazioni di miglioramento. ...
alternativamente, avrei potuto scrivere:
Credo che un suo commento allo scritto può fornirmi delle indicazioni di miglioramento.
In queste circostanze e in altre simili, si può intuire che la frase è in entrambi i modi corretta. Invece ci soffermiamo davanti al monitor, con gli occhi in su per qualche secondo e le mani a pelo di tastiera, per ragionare sul significato della frase al congiuntivo e quindi della sua adeguatezza rispetto allo scopo della stessa e contemporaneamente valutiamo l’opportunità di utilizzare l’indicativo. Chiedendoci: cosa cambia? In altri termini, ci sembra che se utilizzassimo la versione con il “possa” introdurremmo nella nostra frase un elemento di incertezza, di dubbio. Come a dire: caro prof, non so per certo se i suoi commenti potranno aggiungere qualcosa in più a quello che ho già scritto, tuttavia lo credo possibile perché conosco i suoi studi sul tema e quindi sono fiducioso possa accadere, poi staremo a vedere cosa mi scriverà. Se invece scegliessimo la versione all’indicativo, l’avremmo messa più o meno così: caro prof., considerate le sue conoscenze sul tema in questione, le invio il mio articolo perché un suo commento contribuisce in un modo o nell’altro a migliorare quanto ho scritto. Ne sono certo. Ricapitolando, la nostra riflessione di quei pochi minuti davanti all’email sta più o meno in questi termini: congiuntivo = possibilità, incertezza dipende dal cosa scrive; indicativo = certezza, contribuisce di certo è un grande sul tema, ma non so a cosa ancora. Per dire, è quasi certo che ricevendo i commenti di un esperto su una disciplina potrò migliorare il mio lavoro di ricerca, ma questo a prescindere dal fatto che venga usato il congiuntivo o l’indicativo.
A questo punto, per fare un passo avanti dobbiamo riprendere quei due messaggi che avevamo lasciato in sospeso poco sopra.
“nel linguaggio informale va bene anche sono”
“dipende dal registro”
In qualche modo, questi messaggi anticipano che il tempo impiegato a riflettere se sia più adeguato utilizzare la versione “possa” o la variante “può” (e viceversa) rispetto al significato che vogliamo dare alla frase può essere tempo perso, a meno che non ci fornisca uno stimolo adeguato a cercare se la differenza tra le due stia davvero nel significato o invece è solo una questione di opportunità riferibile al contesto, una variazione di registro.
Fu un dubbio simile che mi ha fatto scoprire e acquistare un volume di linguistica dedicato al congiuntivo.
Sgroi, S. 2013. Dove va il congiuntivo? Ovvero il congiuntivo da nove punti di vista. Novara: Utet.
Il testo è scritto Salvatore Claudio Sgroi, ordinario di Linguistica Generale presso l’Università degli studi di Catania. Il titolo mi ha immediatamente incuriosito, anche se all’inizio ho inteso il “va” nel senso del movimento. Dove sta andando? Cogliendo in questo modo solo la seconda questione al centro del libro, ossia la presunta agonia di questo modo verbale. L’altro tema è dove va (usato)?
Come son venuto a conoscenza di questo libro? Il merito, è il caso di dirlo, va ad un riferimento bibliografico in un post pubblicato su la vocedinewyork dal titolo Il congiuntivo italiano: cari studenti stranieri, attenti alla “fantagrammatica”. Un lunghissimo post su millemila occorrenze riguardo all’uso del congiuntivo.
L’idea principale nel testo di Sgroi è l’esistenza di una “fanta-grammatica” dominante nella manualistica più diffusa. Questa tenderebbe a far apparire la differenza tra congiuntivo e indicativo come semantica: il congiuntivo esprimerebbe il dubbio e l’indicativo la certezza. Inoltre, l’eccesso di certezze – o l’assenza di dubbi – della società attuale e della comunicazione nella nostra contemporaneità tenderebbe a far prevalere l’uso dell’indicativo esponendo il congiuntivo a rischio estinzione.
L’autore sostiene il valore affermativo dell’indicativo, come modo della realtà, della possibilità e rifiuta l’uso del congiuntivo come variazione di significato. Per Sgroi si tratta di far coesistere i dei due modi e di utilizzarli in contesti diversi, formale e informale. La differenza appare di registro linguistico, non invece di significato.
Rimanendo ben lontano dai problemi linguistici che affliggono il candidato Sindaco quanto dalle certezze del suo alter ego “in servizio” al bar di turno, la lettura di questo libro consente di passare in rassegna diversi usi del congiuntivo e dell’indicativo anche a mezzo di esempi tratti da lavori di illustri autori tra cui Dante. A fine lettura si conserva una più rapida ed efficace capacità di gestire e impiegare il congiuntivo e l’indicativo in contesti diversi.